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Il gas russo e il dilemma delle sanzioni

Dopo giorni di trepidazione, inseguendo gli ottimistici annunci di un possibile accordo, la situazione in Ucraina non sembra ancora intravedere una soluzione. L’avanzata russa è giunta ad un punto di stallo: le forze della Federazione non guadagnano terreno, ma non c’è alcun cessate il fuoco. Mosca, infatti, ha intensificato gli attacchi dal mare e dal cielo, colpendo indiscriminatamente obiettivi civili e militari. Anche l’ovest del paese e la città di Odessa sono divenute bersagli. E’ chiaro che il Presidente Putin non abbia alcuna intenzione di ritornare sui suoi passi, anzi: è plausibile che i vertici militari russi vogliano costringere la leadership ucraina a cedere alle richieste, piegando la popolazione civile. In assenza di un accordo i combattimenti continueranno, e gli Stati Uniti, secondo il New York Times[1], temono che Mosca possa ricorrere all’uso di armi non convenzionali per riguadagnare slancio. Il Presidente Joe Biden incontrerà gli alleati della NATO per discutere, tra gli altri temi, di come reagire ad una simile eventualità.

Ad oggi, le sanzioni sono ancora il principale mezzo di risposta all’aggressione militare russa. Di fronte all’intensificarsi dei combattimenti, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno progettato una serie di nuovi pacchetti, alcuni già posti in essere, per inasprirle.

Gli USA sono stati fin dall’inizio i più convinti sostenitori della “linea dura”. La minore interdipendenza con l’economia russa e la maggiore disponibilità domestica di materie prime ha consentito al Presidente Biden di prendere la decisione di sanzionare Mosca senza dover fronteggiare gli stessi costi degli alleati europei. Per questo motivo, Washington non ha esitato ad interrompere l’importazione di gas e petrolio dalla Russia, cercando di colpire al cuore il sistema economico di Mosca, già provato dall’isolamento rispetto al sistema finanziario globale.

L’Unione Europea, ad oggi, si è spinta a sanzionare l’oligarchia russa, a tagliare le esportazioni di tecnologia sensibile, ad escludere gli istituti di credito russi dal sistema di pagamenti SWIFT, a ritirare miliardi di investimenti sull’economia della Federazione[2]. Ma le importazioni europee di petrolio e gas russi pompano 800 milioni di euro al giorno nelle casse di Mosca[3]. Si tratta di un flusso considerevole di “valuta forte” che, lo scorso 16 marzo, ha consentito alla Russia di ripagare gli interessi dei propri titoli di stato senza dover ri-denominare il debito in rubli, mossa che avrebbe trascinato nel baratro del default il sistema economico del paese.

Gli stati membri sono consapevoli della necessità di colpire l’indotto russo sull’energia, ma devono fare i conti con la dipendenza dal petrolio e, soprattutto, dal gas naturale estratto in Russia. Italia, Germania e Ungheria sono i paesi più esposti, utilizzando il gas naturale per fette importanti del proprio fabbisogno energetico ed importandolo principalmente dalla Russia. L’Italia, ad esempio, produce il 41,6% del proprio fabbisogno grazie al gas; quello russo ammonta al 40% delle importazioni[4]. Giovedì 24 marzo il Consiglio Europeo si riunirà per tentare di giungere ad un accordo sulla questione: il blocco dei paesi favorevoli all’interruzione immediata è guidato dalla Francia e dalla Polonia, comprendendo quasi tutto l’Est della UE, ad esclusione dell’Ungheria.

Intanto, l’Unione lavora per abbandonare la dipendenza dal gas di Mosca: i leaders europei hanno compreso l’importanza di poter disporre di una strategia energetica europea che, coadiuvata da un fondo comunitario ad hoc sul modello di Next Generation EU, permetta di emanciparsi dalla Russia accelerando la transizione verso fonti alternative a quelle fossili. Le energie rinnovabili sono le protagoniste dei piani comunitari, ma la UE dovrà decidere quale posizione scegliere sulla questione dell’energia nucleare, dato che Belgio e Germania hanno interrotto lo spegnimento dei loro reattori, mentre la Francia ha annunciato di volerne costruire altri.

Un altro importante sviluppo riguarda la difesa comune. Nella giornata del 21 marzo il Consiglio dei Ministri degli Esteri e della Difesa della UE ha approvato la Bussola Strategica europea: essa prevede la costituzione di un contingente militare comune formato da cinquemila soldati, un dispositivo comune di cybersecurity e l’aumento della spesa militare degli stati membri per gli anni a venire, coordinando gli investimenti per evitare ulteriori sovrapposizioni[5]. Il piano, non ancora del tutto svelato all’opinione pubblica, prevede una serie di passaggi e obiettivi per rafforzare la Politica Estera e di Difesa Comune entro il 2030.

L’azione dell’Unione, quindi, è volta a riformare le fondamenta del rapporto comunitario alla luce della crisi in Ucraina, che ha obbligato anche i più recalcitranti tra i politici europei a riconoscere l’impossibilità di mantenere normali relazioni con la Russia di Putin.

Una relazione che, comunque, andrà ricostruita al più presto. L’abbandono della strada della diplomazia da parte della Russia ha già avuto conseguenze gravissime, in primo luogo sull’Ucraina e suoi cittadini. Per i russi, l’interruzione delle importazioni europee di idrocarburi sarebbe un’ulteriore, durissimo colpo ad un’economia già sull’orlo del tracollo. Per l’UE si tratta di una decisione sofferta, con gravi conseguenze sullo stato dell’economia, che obbliga a prospettare un futuro, poco lontano, di maggiore integrazione. Pena: la crisi energetica ed economica, la depressione dei consumi, l’abbandono di ogni prospettiva di crescita nel breve periodo.

Ma, davanti al persistere dell’invasione russa, non pare esserci altra strada, per quanto impervia. Rinunciare alle sanzioni significherebbe accettare la guerra di aggressione come legittimo strumento di risoluzione delle contese internazionali. In un momento di rimescolamento dell’ordine mondiale, l’abbandono di tale principio aprirebbe scenari che credevamo oramai appartenere al passato.

 

 

Riccardo Raspanti

CIVITAS EUROPA – DIVISIONE ECONOMIA

 

 

 

 

 

 

 

Note:

[1] William J. Broad, The Smaller Bomb that Could Turn Ukrain into a Nuclear War Zone, nytimes.com, 21 marzo 2022

[2] per approfondire: https://civitaseuropadoteu.wordpress.com/2022/03/02/sanzioni-lopzione-atomica-delleuropa/ su Civitas Europa

[3] Federico Fubini, Petrolio e gas, l’Europa paga 800 milioni di euro al giorno alla Russia, corriere.it, 3 marzo 2022

[4] Massimiliano Jattoni Dall’Asén, Gas russo, perché l’Italia e l’Europa non possono farne a meno, corriere.it, 21 marzo 2022

[5] Brahim Maarad, La UE crea la sua difesa: cinquemila uomini e più fondi per la spesa militare, agi.it, 21 marzo 2022

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