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Yemen, sulla bocca di tutti eppure dimenticato

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Da un paio di mesi a questa parte, gli Houthi sono sulla bocca di tutti. Ma chi sono questi Houthi? A voler prestar fede alla stragrande maggioranza dei giornalisti e dei commentatori, gli Houthi sono dei ribelli yemeniti filoiraniani e sono degni di nota perché, con i loro missili e droni lanciati contro le navi transitanti per il mar Rosso, hanno scombussolato il commercio internazionale.

Questi attacchi contro le navi vanno inseriti nel contesto della guerra di Palestina tra Israele e Hamas. Obiettivo primario degli Houthi, infatti, è quello di indebolire con ogni strumento lo Stato Ebraico, a partire dal sabotaggio dei flussi commerciali che lo interessano.

Preso atto di questo stato delle cose, gli Houthi, e per estensione lo Yemen, sembrano rilevare unicamente in quanto fronte secondario della guerra di Palestina, che a sua volta è uno dei fronti del conflitto che contrappone Israele e i suoi alleati al cosiddetto asse della resistenza guidato dall’Iran.

Ma le cose stanno davvero così? A uno sguardo più approfondito emerge che il quadro dipinto dalla maggior parte dei mezzi d’informazione è impreciso e riduttivo. Partiamo dalle imprecisioni. Gli Houthi non sono un gruppo ribelle: Ansar Allah è un gruppo ribelle.

Ma allora chi sono questi Houthi? Si tratta di un’influente tribù dello Yemen settentrionale, che negli anni Novanta ha dato vita ad Ansar Allah, allo stesso tempo partito politico, gruppo religioso e milizia paramilitare, che si è reso protagonista di un conflitto con il governo yemenita. Attualmente il capo dell’organizzazione è Abdul Malik al-Houthi, uno dei fratelli di Hussein Badreddin al-Houthi, il fondatore del gruppo che fu ucciso dalle forze governative yemenite nel 2004.

Il suddetto conflitto è degenerato in guerra civile nel settembre 2014, quando Ansar Allah ha preso il controllo della capitale Sana’a. Quella guerra, caratterizzata anche da interventi stranieri, in particolare quello dell’Arabia Saudita, non è ancora finita. Il paese continua ad essere frammentato e di fatto ci sono due governi: da un lato il governo di Ansar Allah, che controlla la capitale Sana’a e il nord; dall’altro il governo riconosciuto dalla comunità internazionale, che controlla il resto del paese ed è supportato da un eterogeneo gruppo di fazioni e milizie, la cui fedeltà è alquanto variabile.

Quindi, a differenza di quello che si deduce dai resoconti della maggior parte dei mezzi d’informazione, lo Yemen è ben lungi dall’essere un mero teatro del conflitto regionale tra Stato Ebraico e Repubblica Islamica, e Ansar Allah è tutt’altro che una pedina iraniana.

Lo Yemen è un paese con la sua storia e con i suoi problemi. Una terra lacerata da una guerra fratricida decennale di cui ancora non si vede la fine. Qui le tanto vituperate Nazioni Unite si sono profuse in enormi sforzi, sia dal punto di vista umanitario, sia politico. Nel 2022, grazie alla loro mediazione, è stata raggiunta un’importante tregua che ha portato a una notevole riduzione dell’intensità degli scontri armati. Tuttavia siamo ben lontani dalla tanto agognata pace che permetta la riunificazione del paese e la fine delle sofferenze della popolazione civile.

I civili, come sempre, sono le vere vittime di questa guerra. Prima di Gaza c’era lo Yemen, a cui le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite hanno affibbiato la ben poco invidiabile etichetta di crisi umanitaria più grave al mondo. Eppure dello Yemen se ne è sentito parlare sempre molto poco.

I motivi di questo silenzio sono svariati ma vale la pena segnalarne almeno uno. Alle sofferenze della popolazione civile ha contribuito in maniera diretta l’Arabia Saudita, con i suoi bombardamenti indiscriminati e con il blocco delle frontiere. In maniera indiretta, vendendo armi e rifiutandosi di sanzionare i sauditi, vi ha contribuito anche l’Occidente.

Lo Yemen, così come la Palestina, è quindi il luogo delle contraddizioni occidentali. Sarà forse per questo che i media hanno ridotto il dramma di un popolo intero a teatro secondario del conflitto tra potenze regionali?

 

Massimiliano Palladini

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