Versailles 2020. Quando nessuno è disposto a rinunciare, rinunciano tutti.
Quando i bassi istinti di giustizia trasbordano nella politica, si genera un miscuglio irrazionale di emotività e potere che in momenti difficili portano a sentimenti nazionali di rivincita, di vendetta e di egoismo nazionale.
Gli attori si trincerano nelle proprie posizioni diventando inamovibili. In politica internazionale, confondere il senso di giustizia con la funzionalità, può essere l’anticamera di un conflitto violento.
Nel 1918 terminava la guerra ma nacque la madre dell’apocalisse. Si deposero le armi e si sfoggiò il rancore. La fame di giustizia era tale che pervase la politica post-bellica del vecchio continente. La Francia reclamava vendetta per i torti subiti e chiedeva l’annientamento dello Stato a cui appartenevano 68 milioni di altri europei: la Germania.
Fra giustizia e funzionalità politica: come dalle ceneri, venne ricreata un’Europa amorfa. Alla fine del conflitto, si aprì il Congresso di Parigi, in cui ebbero luogo fra le potenze vincitrici, i quattro trattati che cambiarono radicalmente la faccia dell’Europa e la vita di milioni di europei.
Humus. Termine latino indicante quella serie di variabili che pongono in essere un contesto fertile per la nascita di nuovi fenomeni.
Saint-Germain, Trianon, Sevres (poi stracciato col trattato di Losanna e la nascita della Turchia moderna) e Versailles, questo era il mainframe che accompagnò l’Europa da una guerra all’altra. Fra questi, il Trattato di Versailles è quello che più ha contribuito a creare l’humus, cioè quel contesto fertile, alla nascita del movimento nazista e in seguito, alla guerra. Si può infatti sostenere che la pace generata da Versailles era quasi più scomoda e instabile che la guerra stessa. Tracciare una linea di continuità fra la Prima guerra mondiale e la Seconda, sta alla base della comprensione del perché quest’ultima ebbe luogo.
Il giustizialismo francese di Versailles fu (per quanto “giusto” potesse essere), fortunatamente mitigato dal pragmatismo britannico e statunitense, ma ciò non risultò sufficiente. Il principio di cui gli anglofoni si fecero promotori era quello di attuare misure funzionali nel lungo termine, mentre il principio francese era quello di ottenere una immediata giustizia punitiva a prescindere da qualsiasi calcolo di funzionalità politica sul lungo termine.
Per Parigi, la Germania andava smantellata, portandola alla pre-unificazione del 1871, creando quindi un bacino centrale europeo mollo e flaccido con enormi vuoti di potere, senza tenerne in conto le conseguenze. Conseguenze che dopo meno di venti anni ricaddero proprio sulla Francia, la quale fu una delle maggiori a soffrirne.
Il conflitto nasce dall’esistenza di interessi divergenti in uno stato di scarsità materiale e assenza di potere dominante. Maggiore è il vuoto di potere maggiore sarà il conflitto.
Londra, altra vincitrice della guerra, riuscì a mitigare questa posizione giustizialista proposta dall’alleato francese, ma non riuscì ad imporre del tutto il proprio pragmatismo. Ne risulterà quindi un trattato tendenzialmente amorfo, i cui contrasti vengono al meglio rappresentati dall’articolo 232 e dall’articolo 231. Il primo articolo è appunto pragmatico, volto a riorganizzare l’Europa sotto un’ottica realistica e non eccessivamente punitiva, cercando anzi di aiutare i tedeschi nel nuovo percorso; il secondo è un articolo (clausola di colpevolezza) che invece impone concretamente alla Germania di pagare in toto il peso di un conflitto la cui responsabilità non era unidirezionale.
In politica, il “vuoto” è uno dei massimi pericoli. Non può esistere un vuoto di potere per un periodo prolungato di tempo, poiché viene immediatamente colmato da un altro potere o da un oligopolio di portatori di interessi che confliggono vicendevolmente alla ricerca della supremazia e del reciproco annientamento. Il pericolo nel creare un vuoto di potere consiste proprio nel fatto che sradicando un potere sovrano conosciuto, se ne forma immediatamente un altro di cui non si sa nulla e che quindi esula dalle nostre previsioni e dagli strumenti classici atti a fronteggiare un rivale o a domare un conflitto noto.
L’Impero tedesco viene quindi posto come Repubblica di Weimar, una repubblica madre di arte e cultura, ma del tutto irrilevante politicamente sullo scacchiere internazionale. E dato che è l’agenda internazionale ad avere un peso maggiore sulle politiche interne, presto il conto fu presentato ai tedeschi.
Troppo spazio politico al giustizialismo. L’errore di Versailles. Con il pegno in oro da pagare ai francesi con lacrime e sudore, una sovranità monetaria mal gestita (inflazione alle stelle), con un istituzioni costituzionalmente zoppe, col peso della guerra tutta sulle proprie spalle e con la crisi economica del 1929, la Repubblica di Weimar esplose, dando vita al Terzo Reich tedesco. La Francia non volle rinunciare alla propria politica giustizialista. Il resto, ahinoi, è già scritto.
Fra i maggiori che pagarono le spese del rigorismo di Versailles furono proprio gli stessi francesi. Dopo la Seconda guerra mondiale, la lezione fu recepita: nel lungo termine, un approccio pragmatico che metta da parte il giustizialismo, impedendo il crearsi di vuoti di potere fertili alla nascita dei totalitarismi, risulta la scelta più funzionale in termini di surplus sociale collettivo.
In un contesto politico comunitario (cartello), la mancata rinuncia a determinati privilegi in favore della cooperazione, crea di fatto un incentivo a deviare da quello che era l’equilibrio cooperativo formatosi. Ciò comporta un effetto analogo a quello che in economia viene definito come Guerra dei Prezzi. Questo tipo di interazione strategica comporta che ogni singolo attore, rompendo la cooperazione per conservare/ottenere una supremazia sulla propria fetta di mercato, inizia ad abbassare il livello dei prezzi, obbligando anche gli altri attori a fare lo stesso, ponendo in essere quindi uno scenario di fuggi fuggi generale. Questo porta al paradosso di Bertrand, cioè un monopolio fittizio, scenario che però in politica non può verificarsi: mentre in economia non esiste il ricorso alle armi, in politica non appena il livello di sostenibilità dei prezzi si avvicina ad essere insostenibile, il ricorso alle armi è l’unica scelta razionale. Ciò innesca un meccanismo, strategicamente definibile come “lose-lose”, secondo cui, scendendo sempre più di prezzo, nessuno guadagna più alcunché e nel peggiore dei casi vi è un ricorso armato, rendendo vacuo il vantaggio inizialmente conseguito da chi innescò la guerra dei prezzi. Esempio questo, di Vittoria di Pirro.
Un’Europa dispari nella Versailles del 2020 Con l’acuirsi di una crisi, aumentano due forze opposte: da un lato la scarsità di fiducia reciproca e dall’altro la necessità materiale di unire le forze. Come sappiamo già “Il senso dell’Europa”: unire le forze è una scelta razionale solo sotto un regime di sovranità (garanzie di reciprocità) o sotto l’effetto di una minaccia reciproca.
Nel 2020 l’Europa si ritrova a dover far fronte una scelta difficile, esattamente un secolo dopo Versailles. La minaccia del Coronavirus non ha intenzione di risparmiare nessuno e tutti verranno colpiti, nazioni partner o competitor che siano. I Paesi oggettivamente virtuosi del Nord hanno sviluppato negli anni una struttura economica che si regge non ricorrendo all’inflazione e all’indebitamento (questo avviene anche in paesi europei con senza euro con sovranità monetaria, come Polonia, Danimarca o Svezia in cui si mantiene ugualmente un regime di “austerity”). I Paesi del Sud, sono rimasti invece ancorati a modelli economici paternali “steroidati” pre-Euro, in cui le mancanze e le fragilità del sistema economico venivano subito rimediate dall’intervento dello Stato centrale, che si indebitava al posto loro stampando moneta e inflazionando.
Questa totale divergenza nella gestione della cosa pubblica, negli anni ha portato a una bolla politico-economica che adesso sta per detonare in tutta Europa. Arrivati al punto di imminente urgenza dettato dal Covid-19, ci troviamo a dover unire dei conti pubblici diametralmente opposti. Il Nord non vede il perché dovrebbe vanificare anni di sacrifici per la costruzione di una economia solida e il Sud non ha adesso materialmente il tempo per mettere in ordine i conti pubblici. I nodi stanno prepotentemente venendo al pettine.
Questo è il risultato della grande pecca del disegno europeo: l’assenza di politiche fiscali integrate e il mancato trasferimento della sovranità fiscale da parte dei singoli Stati verso le istituzioni comunitarie.
Cedere la sovranità fiscale comporta che la spesa e il bilancio pubblico diventino comuni, i debiti dei singoli vengano spalmati su tutti i membri, così come i crediti. Nel breve termine vi saranno quindi membri più virtuosi che ne perderanno (Lega Neo Anseatica: Germania, Paesi Bassi, Finlandia ecc) e membri meno virtuosi che ne guadagneranno (Blocco Mediterraneo + Irlanda), mentre nel lungo termine lo scenario si assesta, garantendo un maggior peso politico ed economico internazionale a vantaggio di tutti i membri. L’Unione prenderebbe la forma di una confederazione a tutti gli effetti.
A chi tocca l’onere? Dipende. La ragione in questo caso sta da entrambe le parti, così come il profitto e le perdite. Se da un lato i Paesi abbienti hanno il diritto di tutelare i propri traguardi, soltanto la rinuncia a questo diritto può portare nel lungo termine a un vantaggio anche per gli Stati “rigoristi”, più abbienti. Se quindi nel brevissimo termine, Paesi come la Germania ne risulterebbero direttamente svantaggiati dalla condivisione delle politiche fiscali, bisogna anche comprendere come la via degli Eurobond sia un cleavage fra l’esistenza dell’Unione Europea e la non esistenza dell’Unione Europea. In virtù di una spesa pubblica condivisa, nel lungo termine i conti pubblici vengono risanati, colmando quel divario Nord-Sud.
Il Cleavage indica una frattura, alle sponde della quale si creano due distinti gruppi di potere che rappresentano ognuno i propri interessi (lobby, sindacati, partiti, nazioni).
Scenario win-win. I primi rinunciano, gli ultimi guadagnano. In prima ipotesi abbiamo la resa della linea assertiva e non-rinunciataria dei “rigoristi” della Lega Neo Anseatica, che accetta di completare il trasferimento di sovranità e la costruzione di una Europa più forte, in nome, non di una giustizia propria, bensì in nome di un assetto politico europeo stabile e funzionale a vantaggio reciproco nel lungo termine.
Scenario lose-lose. I primi restano primi e gli ultimi restano gli ultimi. In seconda ipotesi abbiamo la resa dei Paesi europei mediterranei e la vittoria dei rigoristi, la cui diretta conseguenza probabilmente sarà, come per la Repubblica di Weimar, una disgregazione totale dell’assetto europeo, che preludierebbe ad un ritorno al conflitto nel Vecchio Continente. L’atteggiamento punitivo del Nord nei confronti del Sud, per quanto fondato sia, non porta al risultato sperato nessuna delle due parti.
Scenario ibrido, due mondi paralleli Nessuno si scosta dalle proprie posizioni ma nessuno è disposto a cadere in uno scenario lose-lose in cui l’Unione Europea implode. Si rimanda quindi il problema al futuro, creando nell’immediato due comunità europee con due sovranità distinte e due debiti integrati diversi con 2 valute euro diverse: la cosiddetta “Europa a due velocità”, i cui termini di contrattazione ignoti però, rischiano di formare due nuclei di potere conflittuali, rendendo semplicemente diversa la forma del conflitto. Una tale situazione sarebbe quindi potenzialmente instabile e dipenderebbe integralmente dai termini contrattuali in cui verrebbe posta.
Quest’ultima ipotesi, non affatto remota, andrebbe a confermare la caratteristica del tutto peculiare della storia Europea, ancora una volta, “sui generis”.
Se non rinuncia nessuno, perdiamo tutti.
CIVITAS EUROPA – DIVISIONE CONGIUNTA Dr. Verdoliva Alessandro
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