Torna al blog

TRUMP 2024 - The Same Old Donald

Post Cover - TRUMP 2024 - The Same Old Donald



Per una settimana, l’uomo più chiacchierato del mondo è stato Donald J. Trump. Poi gli eventi hanno superato anche il suo tentato assassinio. D’altronde, in un mondo in cui tutte le vicende globali possono raggiungerci attraverso l’infosfera, niente si sedimenta nelle coscienze per più di qualche giorno, figuriamoci una settimana.

Trump è l’alfiere dell’estrema destra statunitense, il cavallo di troia dall’ego ipertrofico e dalla scarsa capacità di ascolto che li porterà dritti alla Casa Bianca.

Il numero gli era già riuscito nel 2016, quando da outsider aveva vinto la nomination repubblicana e poi le elezioni presidenziali. Da allora sono successe tante cose. Nel 2016 aveva idee forti, ma confuse. Il suo mandato era terminato con una gestione a dir poco disastrosa del fenomeno Covid-19 e con un tentato colpo di stato proprio durante gli ultimi giorni della presidenza.

Tanto sarebbe bastato a considerarlo morto politicamente. Ma la polarizzazione crescente, combinata all’assoluta rigidità del sistema bipartitico statunitense, ha generato sollecitazioni tali da piegare il Partito Repubblicano, già infiltrato ed indebolito dal “trumpismo”.

Mentre il quarantaseiesimo presidente degli US si rendeva conto fuori tempo massimo di essere troppo anziano per la corsa ad un nuovo mandato, Trump aveva mosso le sue schiere alla porta della democrazia americana. Quella stessa porta che aveva incitato a scardinare il 6 gennaio 2021.

The Donald ora è padrone dei Repubblicani e può sfruttare la nomea di unto dal Signore che gli derivano da quella torsione della testa con cui ha evitato il fatidico proiettile. Gli unici avversari che gli rimangono sono Charli XCX - che ha sostenuto Kamala Harris assieme a tanti altri artisti e personalità - e sé stesso, come ha dimostrato alla Convention di Milwaukee.

Durante il congresso repubblicano - che ha sancito la consacrazione della sua nomination alla presidenza - Trump ha tenuto un discorso lunghissimo, di più di un’ora e mezza, composto per il 10% dalle parole scritte per lui da qualche spin doctor e per il 90% dal suo rant personale su Covid, orecchie che sanguinano, immigrati, muri, la benevolenza di Dio.

Quello che avrebbe dovuto essere il momento di riconciliazione all’interno del partito, finalmente unito per sostenerlo, ha coinciso con la conferma: Donald Trump è sempre Donald Trump. Non è in grado di moderarsi per vincere al centro, come si è sempre fatto negli Stati Uniti. Ma, forse, non deve neanche.

Il game plan di Donald è sempre lo stesso: vendere, vendere, vendere. E per vendere - sé stesso, in questo caso - è disposto a raccontare qualsiasi cosa. Ha un approccio all’oratoria che rasenta la prestidigitazione: distrae lo spettatore con i gesti cui accompagna le sue parole controverse.

Per chi lo supporta, è uno spettacolo impagabile vedere un presidente parlare allo stesso modo dell’uomo della strada. Quando, poi, si lancia in attacchi personali contro gli avversari politici, lo specchio del linguaggio si fa ancora più limpido.

Chi gli si oppone si ferma alla retorica spiccia, alla patologica capacità di mentire e alle dichiarazioni assurde al limite del ridicolo. Non vuole vedere cosa si cela dietro alla macchietta: approfondire i messaggi di Trump e le forze che lo sostengono significherebbe mettere in discussione la propria prospettiva sul mondo.

In entrambi i casi, Trump adotta la tecnica comune a tutte le reti politiche di estrema destra nell’odierno mondo occidentale. Per giungere al potere è necessario rivestirsi di una patina protettiva, solitamente provando ad inserirsi nel solco della tradizione conservatrice e, da lì, fare appello al senso comune nella risoluzione delle complessità che ci attanagliano.

Il tutto senza mai abbandonare lo zoccolo duro che, nel caso di Trump, è composto dai gruppi che hanno partecipato al 6 gennaio o che sono nati in seguito al presunto furto elettorale. Ci sono poi i trumpiani repubblicani, che devono la loro posizione esclusivamente alla benevolenza di Donald e in un altro momento storico non sarebbero nemmeno stati in grado di avvicinarsi al Partito Repubblicano.

Infine, c’è quel gruppo di intellettuali, scalatori politici e imprenditori che sono legati - o semplicemente affascinati - da Project 2025, un progetto di riforma costituzionale da cui Donald Trump si è ripetutamente distanziato, ma che ricalca quasi alla perfezione le rimostranze da lui presentate durante il suo mandato presidenziale.

Project 2025 si rivolge solo ed esclusivamente ai futuri presidenti conservatori: la proposta si articola, da un lato, nell’annullamento della separazione tra personale politico e amministrativo, dotando il Presidente di potere imperativo sui funzionari e sulle loro carriere; dall’altro, in una proposta di riforma globale dei principali uffici ed agenzie del governo americano, per piegarle - non c’è altra maniera per descriverla - al volere di una parte politica.

È un progetto dalle tinte autoritarie, travestito da riforma di buon senso grazie alla partecipazione di istituti di policy degli stati più conservatori. Un progetto incostituzionale che consegnerebbe un potere spropositato in mano al Presidente e alla sua parte politica. Un progetto di cui molti centri di potere - non ultimo Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo - possono voler beneficiare.

Trump vorrebbe essere Cesare, o almeno Costantino. Si presenta come l’unico salvatore dello Stato, incaricato da Dio della missione di fare di nuovo grande l’America. In realtà è solo un uomo pieno di sé, incapace di vedere oltre i confini della propria persona, facendola spesso combaciare con la nazione. Impossibile, per lui, servire lo Stato. È pensabile solo il rapporto contrario.

Appena esce dal seminato, la facciata di rispettabilità cade, riprende la retorica complottista sulle elezioni 2021, che rifiuta di riconoscere il cambiamento climatico come problematica e che promette di disfare l’agenda di politica estera dei democratici (Israele esclusa, si intende).

Trump è furbo e incapace di avere esitazioni. Stavolta ha un piano preciso e il sostegno necessario per tentare di realizzarlo, anche scontrandosi con il principio della separazione dei poteri. Se riuscirà a conquistare la presidenza, le scene tragicomiche del periodo 2016-2020 non si ripeteranno di certo.

Torna al blog