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Strage di Piazza Fontana. Una pagina stracciata dalla storia…

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Ieri i 51 anni dalla Strage di Piazza Fontana. Civitas Europa ricorda un avvenimento che ha cambiato il volto dell’Italia e dell’Europa per sempre. Agli Anni di Piombo sono dedicati diversi capitoli della rubrica sulla storia dell’Europa Unita, presenti sul nostro sito.

Erano le 16.30 di venerdì 12 dicembre 1969. Mancavano tredici giorni a Natale e l’orologio segnava l’inizio del fine settimana. Stava scoccando l’ora di punta nelle grandi città. Recarsi in banca per fare versamenti e prelievi era un appuntamento necessario prima dello scadere dei giorni lavorativi. Mentre le altre banche si accingevano a chiudere, c’erano ancora dei clienti dentro la Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana. Sette minuti dopo, la filiale sarà oggetto dell’esplosione di un ordigno che lascerà un saldo di ottantanove feriti e diciassette morti. Sarà la prima di quattro bombe che, nell’arco di cinquantatré minuti, scoppieranno tra Milano e Roma. La Capitale infatti vedrà esplodere gli altri tre ordigni. Alle 16.55 esplose il terzo ordigno piazzato nel sottopassaggio di Via Veneto, davanti alla Banca Nazionale del Lavoro, lasciando tredici feriti. Mezz’ora dopo, le due ultime bombe esplodono davanti all’Altare della Patria e all’ingresso del Museo Centrale del Risorgimento, in Piazza Venezia, lasciando quattro feriti. Si tratterà del primo attentato terroristico del secondo dopoguerra nella penisola italiana. Particolarmente, la Strage di Piazza Fontana sarà uno spartiacque sia per la vita della Prima Repubblica, sia per sopravvissuti e familiari delle vittime.

«Quando è scoppiata la bomba ero sposato da qualche mese. Da allora è cambiato tutto, sono diventato quasi insensibile». Sono queste le parole di Roberto Prina, uno dei feriti durante l’esplosione, il quale – come la quasi totalità degli ottantotto sopravvissuti – non è riuscito a trovare pace negli anni successivi. L’odore di sangue mescolato all’esplosivo, l’impatto dell’esplosione e il senso di colpa dell’essere sopravvissuto sono alcuni dei fantasmi che hanno perseguito Roberto, fantasmi che, negli anni successivi, non sarebbero stati facili neanche per l’Italia. Erano gli Anni di Piombo. Anni di stragi, sequestri e omicidi; di terrorismo, di violenza politica e di depistaggi che hanno imperversato il clima politico di un Paese condannato a non leggere le pagine strappate, e forse smarrite, della propria storia contemporanea. E non sono stati facili neanche quelli precedenti. La fine del boom economico, il problema dell’ondata migratoria interna, la disoccupazione intellettuale e l’inflazione della Lira saranno i fattori interni che porteranno l’Italia a subire l’onda del Sessantotto e, successivamente, dell’Autunno caldo del 1969. A livello internazionale, invece, l’Italia era attraversata da una doppia-frontiera: dall’incrocio Est-Ovest con Nord-Sud che dividevano il Mondo. Se, da un lato, la prossimità geografica con l’Est era assecondata dalla compresenza della Santa Sede e del Partito Comunista più grande di Occidente in Europa, dall’altro, la frontiera Nord-Sud causava fratture nella Classe Dirigente e negli stessi Servizi Segreti. La doppia frontiera, dunque, diede origine a una Repubblica sorretta da fragili equilibri in cui “la sovversione di sinistra e l’eversione di destra si inquadra(ro)no in questo scenario come variabili estremistiche delle due opzioni e delle due realtà”.

Le indagini, avviate in modo controverso, portarono agli arresti degli anarchici Pinelli e Valpreda tra il 15 e il 16 dicembre 1969. A segnalare Pinelli era stato l’avvocato e giornalista Vittorio Ambrosini – personaggio ambiguo le cui posizioni ideologiche oscillavano da un estremo all’altro – mentre Valpreda fu segnalato dal tassista Cornelio Rolandi che affermò di averlo trasportato alla banca nel giorno della strage. Pinelli morì dopo tre giorni di interrogatorio precipitando dalla finestra dell’ufficio del commissario Calabresi . Secondo la polizia si trattò di suicidio. Con Valpreda sarà arrestato anche Mario Merlino, infiltrato neofascista nel circolo anarchico, il 22 marzo.

Il processo iniziò a Roma il 23 febbraio 1972 per poi essere trasferito a Milano per incompetenza territoriale e, infine, a Catanzaro per ragioni di legittimo sospetto e ordine pubblico. Dopo essere stati condannati dalla Corte d’Assise, Franco Freda, Giovanni Ventura e Guido Giannettini furono assolti dall’accusa principale dalla Corte d’Appello mentre Valpreda e Merlino furono assolti per insufficienza di prove ma condannati per associazione a delinquere. La cassazione invece confermò l’assoluzione per Giannettini e ordinò un nuovo processo per i quattro imputati che si concluderà il 1° agosto 1985 alla Corte d’Appello di Bari con l’assoluzione di tutti gli imputati per prove insufficienti. Sentenza confermata dalla Cassazione che, il 27 gennaio 1987, condannò il generale Maletti e il capitano Labruna per depistaggio. L’istruttoria aperta a Catanzaro, invece, porterà all’assoluzione di Stefano delle Chiaie e Massimiliano Franchini.

Nel 1992 verrà arrestato ed estradato in Italia da Santo Domingo Carlo Digilio, ex-membro di Ordine Nuovo nonché esperto in armi ed esplosivi. Su di lui pendeva una condanna definitiva di dieci anni. Raccontando di aver lavorato insieme a Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Franco Freda e altri, Digilio divenne il primo pentito dell'estremismo nero. A raccogliere le dichiarazioni di Carlo Digilio e di Martino Siciliano è stato il giudice Guido Salvini, il quale stabilì una connessione tra il fallito Golpe Borghese e la Strage di Piazza Fontana.

Il 30 giugno 2001 fu condannato all’ergastolo Delfo Zorzi, ritenuto esecutore della Strage, ma quest’ultimo era già fuggito in Giappone per poi divenire immune all’estradizione ottenendo la cittadinanza nipponica. Nello stesso processo furono condannati all’ergastolo Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni mentre Stefano Tringali fu condannato a tre anni per favoreggiamento. Condanna ridotta a un anno nel marzo del 2004 con la cancellazione dei tre ergastoli. La sentenza fu confermata il 5 maggio 2005 dalla Cassazione che dichiarò prescritto il reato di Tringali, mentre le spese processuali furono addebitate ai parenti delle vittime. Tuttavia, la Cassazione ha confermato che la strage fu realizzata dalla cellula eversiva di Ordine nuovo. Non è stato mai individuato un esecutore materiale.

Carlo Digilio invece era stato favorito dalle attenuanti in merito alla propria collaborazione durante le indagini.

Archiviato nel settembre 2013, i diversi processi sulla Strage di Piazza Fontana non hanno visto alcun colpevole punito. Sempre secondo il giudice Guido Salvini, a motivazione dell’archiviazione delle ultime inchieste c’è “la costatazione che non vi sono altri colpevoli dichiarati tali in un dispositivo di sentenza non costituisce certo una ragione sufficiente perché – argomenta il gip – si possa protrarre all’infinito indagini prive di serio fondamento, specie se nei confronti di persone decedute o già giudicate per la strage in questione. Né una nuova indagine è giuridicamente possibile solo per accertare possibili modalità di esecuzione della strage diverse da quelle finora note, specie se esse si presentino irrilevanti o fantasiose”.

 

 

Estefano Soler

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