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Stato di emergenza nel cuore dell’Europa.

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Cosa possono significare i poteri speciali nell’Ungheria di Orban?


I poteri speciali, concessi dal Parlamento a Orban, potrebbero costituire un nuovo spartiacque nella vita politica ungherese. Sebbene qualcuno abbia cercato di paragonare tale decisione con i provvedimenti restrittivi adottati dal governo italiano, bisogna sottolineare che da Roma a Budapest il contesto politico è molto differente. Se è vero che ai tempi del Covid-19, l’emergenza impone la necessità di adottare delle misure che sarebbero inconcepibili nei momenti di ordinaria amministrazione in una democrazia liberale, è altrettanto vero che, i pesi e i contrappesi danno vita a uno Stato di diritto, possono garantire e di fatto, garantiranno –una volta conclusa la parentesi dell’emergenza – il ritorno alla vita democratica nei nostri Stati. Ma siamo sicuri di poter dire la stessa cosa sull’Ungheria? Chi deciderà domani di revocare i poteri speciali che Orban ha ottenuto, e diciamolo, con la benedizione del Parlamento stesso e del principale partito di opposizione? Quale organo o istituzione potrà garantirlo? Quale organo o istituzione esula dal potere di Orban?

Decontestualizzando l’evento dalla situazione politica dell’Ungheria, tutto sembra suggerire che, sulla falsa riga di quanto è stato già fatto dalle democrazie occidentali, a Budapest sia stata votata la concessione di poteri speciali all’esecutivo per fronteggiare l’emergenza. E fin qui potrebbe anche andare bene. 
Misure restrittive sono state adottate da quasi tutte le democrazie liberali e qualcuno contesta che tali provvedimenti non siano stati tanto criticati quanto quelli di Orban. E poi, a favore di Orban torna sempre il fatto che tali poteri speciali siano sempre stati adottati nel rispetto della costituzione ungherese all’interno della quale viene contemplata la concessione di poteri speciali all’esecutivo nei momenti di emergenza. 

Ma quando si tira in ballo la costituzione ungherese ci si presenta un altro problema di natura più complessa. Per capire il senso dell’attuale costituzione ungherese, dobbiamo tornare a quel 1° gennaio 2012, giorno in cui è entrata in vigore una riforma che ha tolto alla Corte Costituzionale il potere di annullare le leggi che si rivelassero incostituzionali e, allo stesso tempo, rafforzato i poteri dell’esecutivo a discapito del Parlamento che comunque era già monopolizzato dal Fidesz. E così, quando si parla della costituzione ungherese, si parla dello stesso testo che è stato riformato su misura da una forza politica che, detenendo la stragrande maggioranza dei seggi, non ha perso l’occasione per arroccarsi dentro il governo.

Il processo di egemonizzazione attraverso il quale Orban ha inghiottito tutti i media del Paese limitando, di fatto e di diritto, la libertà di stampa; l’abilità con cui il potere del parlamento è stato progressivamente trasferito all’esecutivo attraverso la riforma costituzionale del 2012 e le annunciate persecuzioni a varie forme di dissidenza delineano un contesto nel quale la sottoposizione delle istituzioni nei confronti del partito di governo nonché di un singolo uomo che muove a piacimento i fili di quest’organizzazione partitica conosciuta come Fidesz, ci inducono a sollevare delle perplessità sul futuro politico di Budapest. 

Benché il futuro sia ignoto a tutti e non sia il caso di fare delle previsioni, il presente e il passato recente scatenano già di per sé un allarme riguardo l’utilizzo reale dei poteri speciali ottenuti da Orban, i quali piuttosto che essere impiegati in funzione dell’emergenza, rischiano di venire esercitati nel nome dell’emergenza ma con il fine di estendere ulteriormente il controllo politico dell’esecutivo. 

Ipotizzando che Viktor Orban sia uno Statista che ami il suo popolo e proviamo a simulare lo scenario in cui, una volta superato lo stato di emergenza, il leader ungherese continui nell’esercizio incontrollato di questi poteri discrezionali, chi potrà mai dirgli qualcosa? Lo farebbe forse la Corte Costituzionale che non può più giudicare sulla costituzionalità di nessuna legge? Oppure lo farà il Parlamento in cui il Fidesz detiene 117 seggi su 199? Basterebbe appellarsi alla bona fides dell’uomo solo al comando per ripristinare la normalità? 

È qui, quando in una Nazione qualsiasi, lo Stato di diritto torna più utile della presunta magnanimità di un leader carismatico. Ed è doveroso sottolineare come questa assenza di separazione dei poteri nell’Ungheria contemporanea si ponga in continuità con l’esperienza politica di uno Stato reduce da una lunga permanenza dietro la Cortina di Ferro, dopo la quale ha convinto l’Europa sulla validità di un processo di transizione nel quale sono state modificate le forme, i colori e gli attori in gioco ma si sono tenuta ben stretta la sostanza autoritaria che da sempre accompagna il sistema politico di Budapest.


Dr. Tamburrini Estefano


CIVITAS EUROPA – Divisione Relazioni internazionali

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