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Ripudiare l'intervento europeo in Libia favorisce le potenze autoritarie

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Potete leggere il precedente articolo sulle relazioni tra Unione Europea e Libia, dedicato all'operazione Irini, cliccando qui.

 

La diffusione della pandemia di Covid-19 non ha fermato l'evoluzione della situazione militare in Libia. Anzi, nelle ultime settimane sono avvenuti fatti importanti nella ex colonia italiana. Le forze del Governo di accordo nazionale del presidente Fayez al-Serraj, riconosciuto dalle Nazioni Unite e da numerosi Stati, hanno respinto l'Esercito nazionale libico del feldmaresciallo cirenaico Khalifa Haftar dalla periferia di Tripoli e dalla regione circostante.

Ciò è stato possibile grazie al deciso intervento militare della Turchia che ha permesso ai miliziani fedeli ad al-Serraj di mettere in sicurezza la capitale e di allontanare il nemico verso Oriente. Ora la linea del fronte si trova a pochi chilometri a ovest dalla città costiera di Sirte.

Nel frattempo, anche le potenze che sostengono Haftar si sono mobilitate per aiutare il feldmaresciallo cirenaico. La Russia ha inviato alcuni aerei da guerra in Cirenaica mentre l'Egitto non esclude un intervento militare diretto per fermare l'offensiva turca.

Quindi, nonostante la pandemia, nelle ultime settimane si è assistito a un parziale capovolgimento della situazione militare, con le forze del governo di Tripoli che hanno respinto i cirenaici dalla zona della capitale e sono passati all'offensiva. Allo stesso tempo si è osservata un'accentuazione dell'intervento militare delle potenze straniere, sia dal lato di al-Serraj che da quello di Haftar.

Le potenze straniere coinvolte nella guerra di Libia si dividono in due gruppi: quelle disposte ad investire risorse nell'intervento militare più o meno diretto (Turchia, Russia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, per citare gli attori principali); quelle non disposte ad intervenire militarmente che perseguono una soluzione della guerra attraverso i canali diplomatici (Unione Europea e tutti gli Stati membri che la compongono, anche se il comportamento francese è ambiguo).

La politica italiana nei confronti della Libia è emblematica dell'atteggiamento europeo. Il 19 giugno, al termine dell'incontro col suo omologo turco, il ministro degli esteri Luigi Di Maio ha ribadito la necessità di raggiungere un accordo di cessate il fuoco e di avviare un processo politico che culmini con la riconciliazione delle fazioni belligeranti. “Deve esserci una soluzione riconosciuta dalle Nazioni Unite e dalla comunità internazionale” ha aggiunto il titolare della Farnesina.

Le recenti dichiarazioni di Di Maio sono in linea con la politica adottata dall'Italia negli ultimi anni. Il cambio di maggioranza avvenuto l'anno scorso non ha fatto registrare un mutamento della posizione italiana nei confronti del conflitto libico.

Sebbene molti paesi europei riconoscano il governo di Tripoli, alcuni di essi, come Italia e Germania, invece di supportare materialmente al-Serraj hanno preferito agire da mediatori cercando di spingere le fazioni belligeranti verso un accordo che evitasse l'inasprimento dei combattimenti. Il fatto è che tutte le proposte europee di mediazione sono cadute nel vuoto. La conferenza di Berlino organizzata lo scorso gennaio dal governo tedesco non ha impedito l'escalation del conflitto.

Al momento, così come negli ultimi mesi, Haftar e al-Serraj non si sono mostrati disponibili a una soluzione diplomatica della guerra. Gli interlocutori principali dei leader libici non sono gli europei che si propongono mediatori, bensì gli Stati che li riforniscono con le armi necessarie per combattere. Solo quando avranno raggiunto una posizione di forza soddisfacente, o avranno esaurito le loro risorse, le fazioni locali saranno disponibili a una mediazione.

Si sta materializzando una spartizione della Libia. La Tripolitania alla Turchia e la Cirenaica alla Russia e agli altri sostenitori di Haftar. In tutto ciò le nazioni europee non sono presenti perché, semplicemente, non hanno fatto nulla di concreto per influenzare la situazione sul campo.

In sostanza, in Libia sono le armi a determinare l'evoluzione della situazione sul campo, non le iniziative diplomatiche. Pertanto, chiunque si rifiuti categoricamente di intervenire militarmente – come hanno fatto e stanno facendo l'Italia e l'Unione Europea – è condannato a ricoprire un ruolo di secondo piano.

Vuoto di potere e anarchia

Dalla caduta del colonnello Muammar Gheddafi nel 2011, la Libia versa in uno stato di guerra costante, con spargimenti di sangue all’ordine del giorno in cui la presenza di uno Stato resta solo un ricordo. Questa situazione ha portato alla creazione di una realtà politica a cui gli europei si sono sottratti: la Libia non potrà permanere in uno stato di caos per molto a lungo, anche perché ricca di giacimenti petroliferi. Se la guerra civile non avrà termine si inseriranno giocoforza attori esterni, che renderanno più complicata e sanguinosa la situazione. Ed è proprio ciò che è successo.

Solo tra il 2011 e il 2012, un totale di 21.490 persone sono state uccise, 19.700 sono state ferite e un colossale ammontare di 435.000 è stato costretto a scappare. L’indice di mortalità si aggira intorno alle 5,1 vittime ogni 1000 persone.

La Libia è un campo di battaglia con o senza l’Unione Europea, ma quest’ultima non avrà più voce in capitolo in Libia, la quale si allontanerà dall’orbita politica del Vecchio Continente e cadrà sotto l’orbita di Russia, Egitto, Emirati e Turchia (gli unici ad aver risposto al disperato appello di supporto militare dei libici) i cui scopi e metodi sono tutt’altro che chiari. Il risultato sarà quindi una Libia ugualmente lacerata dalla guerra, ugualmente divisa e spartita da interessi stranieri, sotto l’influenza di potenze autoritarie con interessi contrapposti a quelli europei. Da questa logica purtroppo non ci si può sottrarre.

Politica di forza come politica estera?

Germania e Italia, i due principali attori dell’Unione Europea in termini di influenza politica e forza militare, oltre alla Francia, si rifiutano di mettere in campo le proprie forze militari per colmare un vuoto di potere che in Libia miete vittime e crea ulteriore violenza da ormai da 9 anni. Tale assenza dei due attori principali determina uno stallo e un’impotenza per tutta l’Unione.

Da cosa è data questa assenza di iniziativa militare dell’Unione? Come ribadito prima, solo la Francia si sta attivando militarmente. Anche qui vi sono delle incongruenze: la Francia sta appoggiando Haftar e non il governo riconosciuto di al-Serraj. Questo complica le cose, in quanto l’unico attore riconosciuto dalla comunità internazionale viene ignorato dall’Unione Europea e viene bistrattato da Parigi, l’unico paese europeo che sta adottando la forza come metodo di politica estera. A complicare ancora di più lo scenario è la posizione del presidente turco Erdogan, che cerca di riconquistare una legittimità internazionale per farsi perdonare la propria assertività politica e per recuperare fiducia dopo gli screzi con la NATO, dimostrandosi attivo nel tentativo di riprendere influenza sui territori un tempo appartenenti all’Impero Ottomano, appoggiando l’unico attore formalmente legittimo.

I motivi per capire l’assenteismo europeo vanno ricercati in un mix di cause e concause, prime fra le quali una permeante ideologia e un'opinione pubblica dirompente sempre più pacifista e sempre meno incline a concepire la dura realtà dei rapporti di forza della politica internazionale; in secondo luogo abbiamo uno stallo strutturale visto che gli Stati membri si rifiutano di trasferire la propria sovranità in termini di sicurezza e ciò risulta in una Unione Europea istituzionalmente priva degli strumenti e della forza necessaria per intraprendere una politica estera rilevante di lungo termine.

In ultima istanza si potrebbe andare a ricercare il motivo di tale inattivismo nella “sindrome da paese sconfitto” di cui soffrono Germania e Italia le quali, avendo perso l’ultimo conflitto mondiale ed essendosi macchiate di brutali crimini, si ritrovano adesso restie ad intraprendere una qualsiasi azione di forza se non sotto la protezione e sotto gli ordini delle istituzioni dell'ordine internazionale. Infatti, entrambe hanno quasi sempre preso parte ad azioni ed interventi militari all’estero (conflitti in Iraq, Somalia, Afghanistan), ma mai per un vantaggio nazionale proprio, bensì solo ed esclusivamente per gli interessi degli Alleati e sotto la guida di organismi internazionali. Risulta ovvio che questa posizione intrapresa da due dei maggiori attori europei non faccia altro che azzoppare l’intera politica estera europea.

 

CIVITAS EUROPA – DIVISIONE RELAZIONI INTERNAZIONALI

Massimiliano Palladini; Alessandro Verdoliva

 

 

Fonti

“Libia, al-Sisi: “Esercito egiziano sia pronto a missioni””, adnkronos.com, 20 giugno 2020. Ultimo accesso 20 giugno 2020.

“Di Maio ad Ankara: “Vogliamo un cessate il fuoco sostenibile in Libia””, rainews.it, 19 giugno 2020. Ultimo accesso 20 giugno 2020.

Gianandrea Gaiani, “Nelle Libie conta solo chi fa la guerra”, in Limes. Rivista italiana di geopolitica 1/2020.

Gianandrea Gaiani, “Comunque vada Mosca vincerà la partita libica”, in Limes. Rivista italiana di geopolitica 5/2020.

"Libyan armed conflict 2011: Mortality, injury and population displacement", sciencedirect.com. Ultimo accesso 22 giugno 2020.

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