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Perché l'invasione russa della Finlandia è improbabile

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Tra i motivi ufficiali che hanno spinto il presidente russo Vladimir Putin a ordinare l’invasione su larga scala dell’Ucraina vi è l’allargamento verso est della Nato. O meglio, l’indisponibilità americana a respingere formalmente, cioè attraverso un trattato, le ambizioni nord-atlantiche dell’Ucraina. Buona parte del discorso pronunciato dal presidente russo lo scorso 24 febbraio fu dedicata proprio a denunciare l’avvicinamento fattuale di Kiev ai paesi Nato e l'espansione dell'alleanza avvenuta nei decenni successivi alla fine della guerra fredda.

Come noto, già nel 2019 il governo ucraino emendò la Costituzione inscrivendovi la propria volontà di aderire alla Nato e all’Unione Europea. Dal canto loro, gli Stati Uniti hanno sempre mantenuto un atteggiamento ambiguo nei confronti dell’eventuale ingresso di Kiev nell’alleanza. Pur escludendolo nel breve periodo, non l’hanno mai negato nel lungo periodo. Nel frattempo, tra il 2014 e il 2022, gli Stati Uniti e i loro alleati più stretti hanno fornito all’Ucraina armi sempre più sofisticate e prestato consulenza militare.

Gli ucraini hanno comprato armi dai paesi occidentali per difendersi dalla minaccia russa mentre l’adesione alla Nato era pensata per impedire ulteriori aggressioni da parte del vicino.  Con queste iniziative Kiev mirava a rafforzare la sicurezza nazionale ma alla fine i russi hanno comunque invaso il paese. Si può quindi dire che la politica del governo ucraino abbia sortito l’effetto opposto. La stessa cosa però si può dire anche per quanto riguarda la politica del governo russo.

Pensata anche per impedire un ulteriore allargamento verso oriente dell’alleanza nord-atlantica, l’invasione russa dell’Ucraina ha causato esattamente ciò. Infatti, Svezia e Finlandia, paesi con una lunga tradizione neutrale, hanno fatto richiesta di adesione alla Nato.

Se agisse coerentemente con le motivazioni ufficiali che l’hanno spinta ad invadere l’Ucraina, la Russia dovrebbe attaccare almeno la Finlandia, paese con cui condivide un confine molto lungo. Per il Cremlino si è aperta una finestra d’opportunità: tra non molto anche Helsinki beneficerà della protezione statunitense e quindi il tempo a disposizione per invadere il vicino nel tentativo di costringerlo con la forza a rinunciare alle sue aspirazioni nord-atlantiche è poco.

Nonostante le proteste del Cremlino, al momento niente lascia supporre che ci troviamo alla vigilia dell’invasione russa della Finlandia. Questo dato di fatto ci permette di formulare alcune considerazioni riguardanti le origini della guerra russo-ucraina.

Certamente il governo russo temeva che prima o poi l’Ucraina sarebbe entrata nella Nato o, come minimo, che si potenziasse eccessivamente grazie agli aiuti militari occidentali. Tale timore era il frutto di una precisa scelta di politica estera del governo ucraino: tagliare i ponti con la Russia e avvicinarsi sia economicamente (Unione Europea) sia militarmente (Nato) all’Occidente.

Le ambizioni euro-atlantiche del governo ucraino, consacrate nell’emendamento costituzionale del 2019, sono senza dubbio contrarie agli interessi russi ma paradossalmente è stato proprio il Cremlino che, con l’aggressione del 2014, ha letteralmente spinto con la forza Kiev nelle braccia dell’Occidente. Così facendo la Russia si è infilata in un vicolo cieco da cui non poteva uscire se non perdendo la faccia.

Dal 1991, anno dell’indipendenza, al 2014 l’Ucraina ha condotto una politica estera che, per semplificare, era filorussa o, in alternativa, equidistante tra la Russia e l’Occidente. In nessun caso Kiev ha adottato una politica estera apertamente contraria agli interessi di Mosca.

Da questo punto di vista il 2014 ha rappresentato un punto di rottura. La fuga del presidente filorusso Viktor Janukovic e ancor di più l’invasione della Crimea e del Donbass hanno rafforzato le fazioni politiche nazionaliste ed occidentaliste. Da allora il governo ucraino, pur cercando un modus vivendi con il vicino, ha condotto una politica estera marcatamente filo-occidentale.

L’allargamento della Nato ha sicuramente minato la fiducia dei russi nei confronti degli americani mentre la proposta del governo statunitense, risalente al 2008, di invitare Ucraina e Georgia nell’alleanza ha rafforzato ulteriormente i timori del Cremlino. Ma l’Ucraina è stata invasa solo nel 2014, cioè sei anni dopo il famoso vertice Nato di Bucarest e dieci anni dopo l’adesione delle repubbliche baltiche, della Romania e della Bulgaria alla Nato. Dunque, per i russi, finché Kiev manteneva una postura equidistante andava tutto bene. La fuga di Janukovic in seguito alle proteste di Euromaidan equivalse, dal punto di vista russo, al superamento della linea rossa e così il Cremlino ha prima invaso la Crimea e poi supportato i separatisti del Donbass.

In sostanza, l’origine della guerra russo-ucraina risiede innanzitutto nell’evoluzione dei rapporti bilaterali tra Mosca e Kiev, rapporti che hanno conosciuto un punto di svolta nel 2014. La politica filo-occidentale del governo ucraino ha alterato i rapporti di forza tra Russia e Stati Uniti in Europa orientale ma questa alterazione è il risultato di una significativa evoluzione delle relazioni russo-ucraine, non di una politica del contenimento decisa da Washington.

Tornando alla Finlandia, è evidente che la storia delle relazioni tra Helsinki e Mosca sia ben diversa da quella delle relazioni tra Kiev e Mosca. In seguito alla sconfitta nella Seconda guerra mondiale la Finlandia è diventata neutrale ma allo stesso tempo è sempre stata un paese occidentale dal punto di vista politico ed economico, in quanto liberaldemocrazia capitalista che già negli anni Novanta aderì all’Unione Europea. Inoltre, dal punto di vista militare, Helsinki coopera da tempo con altri paesi occidentali. Infine, Finlandia e Russia non sono accomunate da forti legami storici di tipo linguistico, etnico e culturale.

Non bisogna poi dimenticare le implicazioni geopolitiche legate al controllo delle rotte marittime. In parole povere, un’Ucraina filo-occidentale con sbocco sul mare rappresenta un grosso problema per la Russia nel mar Nero, bacino fondamentale per la sua economia e per la sua proiezione strategica verso il Mediterraneo, quindi verso il Nord Africa, il Vicino Oriente e il mar Rosso.

Dal punto di vista russo, quindi, una Finlandia già pienamente integrata nell’Occidente che abbandona anche formalmente la neutralità costituisce una minaccia meno grave rispetto a un’Ucraina che denuncia gli storici legami con il Cremlino. In poche parole, la Russia già da tempo – almeno dal trattato di pace del 1947 – non percepisce né rivendica la Finlandia come Stato facente parte della propria sfera d’influenza.

Nel caso dell’Ucraina la situazione è radicalmente diversa. Kiev è uscita dall’orbita russa in seguito ai fatti del 2014 ma Mosca continua a rivendicarla come parte della propria sfera d’influenza, nel senso che nega a Kiev il diritto di condurre una politica estera indipendente che cozza con gli interessi strategici russi. Addirittura il presidente russo si è spinto a negare all'Ucraina il diritto di esistere in quanto Stato sovrano ed indipendente. Riassumendo in poche parole il discorso di Putin dello scorso 21 febbraio, l'Ucraina altro non è che un'invenzione di Lenin. Al contrario, per quanto riguarda la Finlandia, i russi non ne mettono in dubbio la sovranità e l'indipendenza.

Pur di sottomettere l’Ucraina alla propria volontà, la Russia si è addirittura dimostrata disponibile a lanciare un’invasione terrestre su larga scala, un tipo di operazione militare che non si vedeva sul suolo europeo da ottant’anni. Resta ancora da vedere se la carta militare giocata dalla Russia darà i suoi risultati.

A quattro mesi dall’inizio dell’invasione il bilancio per i russi è come minimo deludente. Le scarse prestazioni dell’esercito russo, unite alle alte perdite subite, costituiscono altri due fattori che rendono improbabile l’invasione della Finlandia.

 

CIVITAS EUROPA - DIVISIONE RELAZIONI INTERNAZIONALI

Massimiliano Palladini

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