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Pandemia-19: la deresponsabilizzazione degli Stati europei di fronte all’emergenza degli “altri”

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Come gli Stati, mostrando un comportamento simile a quello degli individui, impediscono l’adozione condivisa di misure preventive univoche nello spazio comune europeo.

Confrontare il comportamento degli Stati con quello degli individui è un’operazione necessaria di fronte all’emergenza attuale. Il processo di espansione del corona virus sta mettendo in discussione le nostre abitudini, la stessa rappresentazione che facciamo del tempo e dello spazio e, finalmente, la nozione di ordine – sia sociale sia internazionale – che ciascuno di noi ha elaborato a partire dalla propria esperienza. L’emergenza in corso mette in discussione la gestione delle relazioni interpersonali (ad es. nella prossimità permessa tra gli individui) fino a provocare dei drastici cambiamenti nelle relazioni tra gli Stati, nella percezione dei confini e nella discrezionalità, reale o percepita, di ciascuno sul proprio spazio.

All’11 marzo 2020, il saldo che questo virus si stava lasciando alle spalle era di circa 80.778 contagiati mentre i deceduti totali erano 3.158. Anche l’economia sta risentendo gli effetti di questo nuovo virus che ha già fermato l’Italia e che rischia di propagarsi con molta velocità in Europa e nel resto del mondo. In Africa si parla circa di 100 casi registrati e in America Latina il virus ha iniziato a diffondersi mentre in Corea del Sud i contagi tornano a salire. Qualche consolazione sembra provenire dalla Cina, il cui governo esercita un monopolio indiscusso sul proprio territorio. Tale monopolio potrebbe non essere del tutto esercitato negli Stati democratici, ma rimanere nell’ombra e conciliarsi con un certo senso di responsabilità e con la cooperazione stessa tra gli individui e organi che compongono una comunità politica e l’aiutano a rialzarsi in momenti di crisi e di difficoltà.

Ma se una volta sopraggiunta l’emergenza, il rispetto delle regole, la cooperazione e il senso di responsabilità dei cittadini non si verificano nel comportamento degli individui, lo Stato è costretto a fare lo Stato ed esercitare il monopolio sul proprio territorio a discapito dei diritti individuali allo scopo di preservare un interesse generale, come lo è la salute della collettività. Regolando il comportamento dei cittadini, la presenza di un governo può invertire la rotta e governare l’emergenza.

Ma se si trattasse di un’emergenza da gestire a livello globale, in assenza di un governo che regoli il comportamento delle unità che compongono il sistema internazionale, si può puntare sui meccanismi di cooperazione tra gli Stati per risolvere il problema? E se, anziché cooperare, gli Stati, come nel caso di molti individui, adottassero un comportamento del tutto autoreferenziale per eludere la propria responsabilità? Per essere più espliciti, si può parlare di una gestione europea di fronte all’emergenza del COVID-19?

A mio avviso, qui si presenta una dicotomia tra libertà e responsabilità che si pone di manifesto nel comportamento di ogni individuo e, allo stesso modo, tende a replicarsi nel comportamento degli Stati in quanto soggetti principali della comunità internazionale. Senza pretendere di intrappolarci nell’analogia domestica, questa analisi cerca di criticare il processo di deresponsabilizzazione con cui gli le unità del sistema internazionale tendono a eludere un’emergenza di portata globale come lo è il diffondersi del Coronavirus.

In questa sede, cercherò di comparare le reazioni più recenti dell’Italia con quelle della Francia e della Germania come guide dell’Unione Europea. Subito dopo includo il Regno Unito che, anche dopo la Brexit, ci aiuta a delineare il quadro europeo e, finalmente, includerò la reazione degli Stati Uniti, i quali in quanto primo socio dell’Europa, ricoprono un ruolo fondamentale – e spesso invadente – nel processo decisionale dell’UE, così come nella vita politica dei singoli Paesi. Tutto ciò partendo dal comportamento irrazionale degli individui nella nostra penisola come guida per comprendere, in maniera più semplice, la reazione degli altri Stati.

Lo Stato e la società italiana di fronte all’emergenza:

Nella notte del 9 marzo, il Presidente Conte si è rivolto alla Nazione per comunicare l’estensione della Zona Rossa a tutto il territorio italiano. Si tratta di una decisione che cozza decisamente con le nostre abitudini ma che al tempo stesso cerca di imporre a tutta la cittadinanza un senso del dovere che non è stato messo in pratica negli ultimi giorni. La tentazione di associare la chiusura delle attività con un momento di sospensione delle responsabilità quotidiane e, quindi, di vacanza, è stato un sentimento condiviso dal Settentrione al Meridione, dove, a discapito delle raccomandazioni esplicitate nell'articolo 1° del DPCM dell’8 marzo, molte persone continuavano a frequentare assiduamente i centri commerciali, i bar e i locali senza rispettare le misure precauzionali né le raccomandazioni utili alla prevenzione del virus.

Si è avuta così l’impressione che una parte sostanziale della popolazione si stesse comportando come se la diffusione del presente virus si delimitasse agli spazi di lavoro, alle università e ai luoghi che ci riportano una certa fatica, mentre le spiagge della Liguria, i Navigli di Milano, i locali notturni di Napoli e qualche ristorante nel centro di Modena, apparissero – agli occhi di molti –come dei luoghi esentati da ogni possibilità o rischio di contagio. Un'altra faccia, sempre attinente all'irrazionalità degli individui in tempi di panico, la vediamo in tutti coloro che, in preda alla disperazione, sono corsi a prendere l’ultimo Intercity in partenza da Milano verso Salerno cercando di giocare in anticipo all'entrata in vigore della zona rossa, oppure in coloro che, proprio mentre Conte annunciava l’estensione della zona rossa a tutta la Penisola, hanno deciso di fare vigilia davanti i supermercati ancora chiusi in attesa di fare una specie di scorta pre-apocalittica.

Tutti comportamenti questi che la dicono lunga sul senso del dovere di una percentuale di cittadini piuttosto alta. Tra menefreghismo ed esagerazione, ci è voluto l’equilibrio imposto da uno Stato costretto a scendere in campo per effettuare un’operazione più pedagogica che esecutiva, la quale è consistita nel ricordare ai propri cittadini le norme igieniche, quelle di base. che tutti dovremmo rispettare, oppure che le autocertificazioni, se contenenti dichiarazioni mendaci, costituiscono un reato. Per non parlare del comportamento di una certa stampa che ha strumentalizzato il presente caos per pubblicare dei titoli caotici oppure di alcuni politici che hanno accolto il diffondersi del virus come mezzo per raccogliere dei consensi.

Ma l’eccesso di emotività o indifferenza che stiamo vivendo nella Penisola, abbinato a una latitanza del senso del dovere, non è un fenomeno che si vive solo e soltanto in Italia. L’assenza di un agire responsabile, la mancanza di iniziativa in termini di solidarietà e la pretesa di rivendicare un’inutile discrezionalità sull'utilizzo spazi, lasciando l’applicazione dei provvedimenti per gli altri, non sembrano aspetti riconducibili solo ai singoli individui. È notevole come l’istinto egoistico di chi rivendica il possesso su qualcosa, sul proprio corpo e su sé stesso, si ponga di manifesto persino dinanzi a uno stato di emergenza, tra l’altro temporaneo, che ci viene chiesto nel nome di interessi più ampi come lo sono la sanità e l’ordine pubblico. È un istinto che tende ad indurre alla miopia, nonché al pensiero dell’altro (lo Stato) che c’impone un divieto a beneficio degli altri anziché di noi stessi.

Il comportamento degli Stati:

La stessa cosa accade, stranamente, nelle relazioni tra gli Stati all’interno dei quali si pone in evidenza un’inconciliabilità nei modi attraverso cui ciascuno affronta la diffusione del COVID-19 e, per quanto riguarda lo spazio comune europeo, è palese l’assenza di un allineamento intorno a un’emergenza che rischia di trasformarsi – se non lo è già – in un problema globale. La lentezza e la vaghezza dei provvedimenti adottati da Parigi e Berlino, la decisione di Londra – soggetta a costanti flussi e spostamenti umani frutto della globalizzazione stessa e indipendenti dalla variabile Brexit – di lasciare tutto aperto, sono la prova dell’omertà e della sottovalutazione di un rischio che, ai loro occhi, sembra circoscriversi solo all'Italia.

Anche i titoli pubblicati da alcuni quotidiani esteri, così come la satira indescrivibile fatta da alcuni francesi, sembrano dimostrare che la percezione dell’Italia come centro europeo del COVID-19 sia trasversalmente condivisa tra i vicini europei e negli Stati Uniti. La percezione stessa dell’Italia come isola del Corona Virus, le misure intraprese dallo Stato per contrastare la diffusione e la spettacolarizzazione con cui si affronta il caso italiano, appaiono strumentali per scongiurare il pericolo circoscrivendolo entro i confini della nostra Penisola. Ma questo complesso di superiorità deve convivere con una certa preoccupazione di fronte alla possibilità di contagio e diffusione del virus. 

Questa dicotomia tra complessi di superiorità e preoccupazione, la si può osservare nei titoli pubblicati da Le Monde e Le Figarò l’11 marzo 2020, le quali iniziano a dimostrare una certa preoccupazione che va dal segnalare quasi ed esclusivamente l’isolamento dell’Italia, come nel caso di Le Monde che pubblica il seguente titolo “Coronavirus : l’Italie de plus en plus coupée du monde”[1] fino a dare un’occhiata – con preoccupazione – alla stessa Francia come lo fa Le Figarò che, con toni più realistici propone si interroga _“Coronavirus: la France suit-elle la même trajectoire épidémique que l’Italie?”[2]._Nell’articolo pubblicato da Le Figarò, il giornalita Tristan Vey riporta alcune critiche al governo francese che, al momento, ha deciso di non prendere delle misure drastiche per contrastare il fenomeno, esortando a fare tesoro della lezione offerta dall’Italia e iniziare a prendere dei provvedimenti più drastici.

[1] Si veda la versione digitale di Le Monde, 11 marzo 2020:  https://www.lemonde.fr/sante/article/2020/03/11/coronavirus-l-italie-de-plus-en-plus-coupee-du-monde_6032551_1651302.html

[2] Si veda la versione digitale di Le Figaro, 11 marzo, 2020 https://www.lefigaro.fr/sciences/coronavirus-la-france-suit-elle-la-meme-trajectoire-epidemique-que-l-italie-20200310

Da Berlino invece giungono delle voci più pessimistiche. Sono circa 1.300 i casi confermati e, a questo proposito, la cancelliera Angela Merkel propone di rallentare la dinamica del contagio pronosticando inoltre il contagio di circa il 60-70% della popolazione mondiale. Il Ministro della sanità tedesco ha assecondato le dichiarazioni affermando che la fase più acuta deve ancora venire.

Nonostante le preoccupazioni condivise intorno all'espansione del virus, Parigi e Berlino non sembrano disposte, almeno nel breve periodo, ad assecondare l’Italia nella decisione di chiudere le scuole o nell'adozione di provvedimenti drastici come quelli varati di recente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. A negare la possibilità di una chiusura generalizzata delle scuole ci ha pensato il Ministro dell’istruzione francese Jean-Michel Blanquer, secondo il quale questo scenario non si verificherà neppure nell'eventuale fase acuta dell’epidemia[3].

E’ importante anche dare uno sguardo a Londra che, malgrado la Brexit, ci torna utile per fare un quadro europeo della situazione. La preoccupazione inizia a manifestarsi anche lì, inizia a parlarsi con serietà del pericolo contagio e dei provvedimenti che il governo potrebbe adottare di fronte al diffondersi del virus nel Regno Unito. Tali misure andrebbero dalle restrizioni nell’utilizzo dei trasporti pubblici e la chiusura delle scuole all’obbligo di quarantena per le persone contagiate o a rischio[4].  Ma le misure più drastiche sarebbero riservate per l’alta stagione, nonché tra due mesi. Da notare come, al 28 febbraio 2020, il ministro della Sanità Matt Hancock ha deciso di puntare sulla normalità rivolgendo un appello alla normalità, in particolare alle suole, alle quali ha esortato a “(…)non chiudere se non ci sono casi positivi” facendo particolare affidamento alla coscienza individuale dei propri cittadini[5]. Anche il Primo Ministro Boris Johnson si è rivolto ai propri cittadini, in data 9 maggio, affermando di avere a disposto a prendere, nel lungo periodo, delle misure per contrastare e mitigare la diffusione del virus[6].

[3]  Si veda Même au stade 3 du coronavirus, les écoles ne seront pas toutes fermées, Huffingtost.fr

https://www.huffingtonpost.fr/entry/meme-au-stade-3-du-coronavirus-les-ecoles-ne-seront-pas-toutes-fermees\_fr\_5e621028c5b691b525f09931

[4] Si veda il seguente articolo della BBC, 10 marzo 2020 https://www.bbc.com/news/explainers-51632801

[5 Si veda The Guardian 3 Marzo 2020.https://www.theguardian.com/world/2020/mar/03/covid-19-coronavirus-government-advises-uk-public-to-carry-on-as-normal

[6] Si veda il discorso del Primo Ministro, 9 marzo 2020 https://www.gov.uk/government/speeches/pm-statement-on-coronavirus-9-march-2020

USA: dalla sottovalutazione del rischio al tentato acquisto della soluzione.

Per capire l’andamento dell’Europa, bisognerà anche guardare oltre l’Atlantico e confrontarci con le decisioni del nostro partner commerciale più importante, gli Stati Uniti, dove si è a conoscenza di più di 1000 casi e 31 morti, il segretario per la Salute Alex Azar afferma di non avere la stima reale di quanti americani si sono sottoposti al test, data la varietà di agenzie private che potrebbero realizzarlo. In altre parole, il governo Federale non sarebbe in grado di offrire delle stime proprio perché il decentramento del sistema sanitario così come l’esistenza di entità private che erogano dei servizi sanitari, impedirebbero il conteggio reale dei casi.  In termini generali, il governo federale percepisce una certa immunità o lontananza degli Stati Uniti dal rischio di propagazione del virus. A conferma di ciò sono le dichiarazioni dello stesso Mike Pence secondo cui “il rischio di contrarre il corona virus rimane basso per gli americani, e il rischio di seri contagi per gli americani rimane altrettanto basso”[7]. Il fatto stesso che la Casa Bianca insista nel non sottoporre il Presidente Trump a un test, e le segnalazioni fatte da quest’ultimo ai suoi oppositori segnalandoli di alimentare il panico generale, denotano da parte dell’amministrazione statunitense, l’impegno di allontanare il virus dall’opinione pubblica anziché prevenire, nel concreto, la sua diffusione.

Il 15 marzo invece, la Casabianca ha mostrato i muscoli offrendo 1 miliardo di dollari con i quali vorrebbe procurarsi il brevetto del futuro vaccino. L’amministrazione Trump passa così, dalla sottovalutazione del problema a cercare di risolverlo attraverso la compravendita del lavoro effettuato dall’azienda Curevac. La titanica offerta è stata respinta dall’azienda, la quale ha chiarito che lo scopo della sua ricerca è quello di “produrre il vaccino per tutto il mondo e non per i singoli Paesi”. A Berlino sarebbero anche disposti a bloccare l’eventuale ‘acquisto’ sotto il concetto di ‘sicurezza nazionale’[1].

Gli USA incorrono così in un tentativo di mercificazione dell’emergenza che rischia di scatenare una controversia commerciale con la Germania e di ostacolare ogni forma di cooperazione interstatale di fronte all’emergenza.

Rivendicare il ruolo di superpotenza in un momento così delicato per l’intera umanità significherebbe affrontare un problema globale in base agli egoismi nazionali. Comprendere l’impraticabilità di questa strategia risulta difficile per chi associa la propagazione del COVID-19 a un target militare oppure decide di affrontarlo attraverso la competizione sleale di chi cerca di ‘comprarsi’ ciò che gli serve schiacciando gli altri.

[1] Si veda Germany and US wrestle over coronavirus vaccine, DW  https://www.dw.com/en/germany-and-us-wrestle-over-coronavirus-vaccine/a-52777990


Italia, “l’homme malade d’Europe”?

Sebbene l’OMS, insieme a buona parte dei Ministri della salute dei diversi Stati europei, fosse prevalentemente d’accordo con le misure adottate dall'Italia, le sue raccomandazioni non hanno avuto successo nel persuadere i governi sulla necessità di adottare dei provvedimenti più drastici che contrastino, in maniera esaustiva, la propagazione del COVID-19. Probabilmente la paura, per altro comprensibile, di mettere a rischio la tenuta dei mercati così come della propria economia, ha spinto gli Stati vicini a non assumere la piena responsabilità dinanzi al diffondersi di un microorganismo che è già presente all'interno dei loro territori, ma la cui incidenza reale rimane del tutto sconosciuta.

Si è preferito dare seguito alla notizia dell’exploit dei casi registrati in Italia piuttosto che prendere atto dell’esperimento italiano e intraprendere una politica univoca all'interno della zona Schengen[8], esposta alla propagazione del COVID-19 durante gli scorsi mesi dovuta in gran parte all'intensità e alla continuità con cui vengono effettuati gli spostamenti al suo interno. Con il raggiungimento dei 10.149 casi e dei 631 morti in nella penisola[9], si da l’impressione che la maggior parte dei casi siano concentrati in Italia mentre negli altri Stati il virus abbia un’incidenza poca o nulla. La correlazione tra la quantità dei casi verificati e la quantità dei tamponamenti eseguiti sembra passare a un secondo piano, e la spettacolarizzazione creata intorno alla nozione dell’Italia in quanto “homme malade d’Europe” rischia di incentivare una vera opera di "deresponsabilizzazione" da parte dei partner europei che potrebbero scegliere di eludere il problema in base a questo immaginario. La percezione dell’Italia come Paese malato in mezzo a un’Europa sana ma a rischio contagio, potrebbe diventare più forte con la concessione dei 25 miliardi di euro annunciati dalla Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, la quale ore dopo ha dichiarato “siamo tutti italiani”. Tali dimostrazioni di solidarietà sono ineccepibili in quanto ci fanno sentire la presenza di un’Europa vicina all'Italia, ma rischiano di ridurre l’emergenza a un solo Paese che si trasforma nell'incarnazione del problema, mentre il resto dei membri di questa strana comunità continua a eludere l’emergenza nei rispettivi territori.

[7] “ Coronavirus: US pledges more testing as Trump hints at aid for workers”, The Guardian, 10 marzo  2020,  https://www.theguardian.com/world/2020/mar/09/coronavirus-white-house-trump-pence-testing

[8] Secondo le stime ufficiali, ogni anno vengono effettuati circa 1,25 miliardi di viaggi nello spazio di Schengen. Per avere più informazioni si veda:  https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/e-library/docs/schengen_brochure/schengen_brochure_dr3111126_it.pdf

[9] Coronavirus in Italia: 10.149 casi e 631 morti: il bollettino del 10 marzo, Corriere della Sera, 10 marzo 2020 https://www.corriere.it/salute/malattie_infettive/20_marzo_10/coronavirus-italia-10149-casi-631-morti-bollettino-10-marzo-008ff264-62e3-11ea-a693-c7191bf8b498.shtml


Le reazioni dei governi dopo l’intensificarsi dell’allarme.

Dopo il DPCM dell’11 marzo 2020 l’Italia è sottoposta a misure più restrittive. Nel suo discorso, Conte ha annunciato la chiusura della maggior parte delle attività con la sola eccezione degli alimentari, delle farmacie e di quelle “strettamente funzionali per la gestione dell’emergenza” (art.6, DPCM). L’estensione della zona rossa è una decisione che si pone in continuità con i provvedimenti adottati nelle scorse settimane, i quali stanno imponendo dei sacrifici costosi ma necessari per contenere la diffusione del COVID-19.

Nel frattempo, in Italia i casi hanno superato la soglia dei 12.140 e i morti sono più di 631, mentre nel resto del mondo i contagi sono saliti a 110.000 e i decessi per causa del virus hanno superato la soglia delle 4.500 persone. Da Paese all’altro, la situazione tende ad acuirsi. Si sta verificando un veloce incremento dei casi in Spagna e in Francia, la prima ha raggiunto la quantità di 2.200 casi con 47 morti[10], mentre Parigi registra la quantità di ben 2.281 casi e 48 morti[10]. È in crescita anche il numero dei contagiati in Germania, dove finora si contano ben 1.500 persone.

È allarme anche negli Stati Uniti, dove la John Hopkins University ha rilevato la presenza di 1.025 casi totali e 31 morti[11]. Di fronte all’aumentare dei casi, il Presidente Trump si è espresso tramite Twitter affermando di essere “pronto ad impiegare tutto il potere del Governo Federale per affrontare la nostra attuale sfida del Coronavirus”. La prima delle misure federali è stata adottata il 12 marzo dallo stesso Presidente Trump, il quale ha deciso di restringere i voli in provenienza dall’Europa, responsabilizzando gli Stati europei per aver permesso l’espansione di “un virus straniero” per poi contagiarlo agli Stati Uniti attraverso i propri viaggiatori. Tra le misure adottate all’interno dell’entità federale, possiamo notare che in Arizona è stato decretato lo Stato di emergenza così com’è accaduto in Ungheria, mentre Seattle diventa la prima città degli Stati Uniti che decide di chiudere le scuole. La stessa misura verrà adottata dall’Austria e dalla Danimarca a partire dalla prossima settimana.

Nel frattempo, si verificano un totale di 28 casi, mentre nella provincia di Wuhan diminuisce il rigore delle misure e i contagi sono in calo. Le reazioni delle autorità governative all’estero sono quasi del tutto analoghe. Dopo aver sottovalutato i rischi, nelle ultime ore si respira un’aria di allarmismo e, allo stesso tempo, alcuni continuano


a non adottare delle misure restrittive pur dicendosi pronti a tutto. Secondo Fernando Simon, direttore del Centro de Alertas y Emergencias Sanitarias, ci vorranno almeno due mesi per fermare i contagi nel Paese iberico. Lo stesso Lothar Wieler, Presidente del Robert Koch Institut di Berlino ha dichiarato che l’epidemia durerà dei mesi, forse anni”. Paradossalmente, per Wieler, la durata del virus permetterebbe di distribuire l’impatto nel tempo.

[10] Última hora del coronavirus | Italia cierra todos los negocios del país, excepto los de primera necesidad, El Mundo.

https://www.elmundo.es/ciencia-y-salud/salud/2020/03/11/5e6912f721efa0c0628b4584.html

[11] Si veda https://www.worldometers.info/coronavirus/country/france/

[12] Vedere A state-by-state breakdown of US coronavirus cases, by Christina Maxouris and Steve Almasy, CNN.  https://edition.cnn.com/2020/03/03/health/us-coronavirus-cases-state-by-state/index.html

Europa: il ritmo di diffusione è lo stesso dell’Italia.

In mezzo alle analisi pubblicate, risulta interessante la considerazione che fa il quotidiano tedesco Spiegel, nel quale si afferma che “ciò che Cina, Iran e Italia hanno in comune è il fatto che “la circolazione su larga scala del virus, e solo dopo è stato identificato come un’epidemia. È molto probabile che questi Paesi abbiamo un ampio numero di casi non riportati”[13] e prosegue affermando che è la quantità dei decessi nei rispettivi Paesi a dimostrare questa possibilità. L’analisi dello Spiegel potrebbe rappresentare un monito verso l’amministrazione tedesca che, pur avendo una visione più pessimista rispetto a Londra e Parigi, sembra lontana dall’applicazione di misure drastiche per contrastare la diffusione del Coronavirus.

Se la diffusione reale del virus precede il controllo e la verifica dei casi, rischiando correre più veloce dei governi nel propagarsi all’interno di ogni territorio, come potremmo giudicare l’operato dei governi che non hanno ancora adottato delle misure precauzionali? se persino l’Italia, dopo aver applicato delle misure drastiche e restrittive, rischia di rimanere indietro nell’intercettare la dimensione reale dei contagi, cosa potremmo dire degli Stati all’interno dei quali si continua a sottovalutare il rischio? Cosa dire dell’approccio così leggero adottato da Parigi e Berlino di fronte all’emergenza?

A smentire l’ipotesi dell’Italia come centro unico e isolato nella diffusione del COVID-19 ci pensa il trend di diffusione del microrganismo, il quale si diffonde in Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti e Svizzera allo stesso ritmo dell’Italia. Pur con qualche giorno di ritardo (9 per la Francia, 10 per la Germania e 16 per gli USA), secondo le stime offerte da Algebris Policy e Research Forum attraverso Silvia Merler e, in parallelo, da Mark Handley dell’University College di Londra, i Paesi in oggetto non sono esentati dalla veloce diffusione del virus e, per tanto, i ricercatori hanno lanciato l’appello di attuare delle misure concrete per evitare un andamento simile a quello dell’Italia. Dal comportamento degli Stati europei, così come degli Stati Uniti, in questi ultimi giorni si evince la mancata volontà politica di adottare dei provvedimenti univoci, o per lo meno, coordinati nella gestione dell’emergenza. Si percepisce, soprattutto, una specie di resistenza a seguire l’esempio dell’Italia. Probabilmente c’è il timore che, facendo saltare la “normalità”, venga messo a rischio il sistema stesso. Le ripercussioni economiche del COVID-19 sono alle porte, ma è anche vero che la schizofrenia con cui alcuni governi alternano omertà e allarmismo, non giova alla stabilità politica, sociale ed economica dei propri Paesi. A questo punto tornerebbe più utile prevenire anziché disperarsi.

[13] Vedere Jeder Tag zählt, Nina Weber, Spiegel 11/03/2020 https://www.spiegel.de/wissenschaft/medizin/coronavirus-kampf-gegen-ausbreitung-von-covid-19-jeder-tag-zaehlt-a-9c56b511-a31a-4bc8-bf0f-5a6e58b33bbc

L'UE scende in campo. 

Ma ognuno esercita il proprio egoismo nella misura del possibile. Qui rientrano la Francia e la Germania stessa che, di fronte al verificarsi dei contagi in Italia hanno deciso di vietare l’export delle mascherine di cui il Paese aveva bisogno. Il malato d’Europa veniva così lasciato a sé stesso dai propri vicini che, spettacolarizzando su quanto stava avvenendo in Italia, decidevano di non affrontare un problema già presente all’interno dei propri confini. Questa azione ha portato l’opinione pubblica a confondere le decisioni dei singoli Paesi con una presunta assenza di solidarietà dell’Unione Europea nei confronti dell’Italia. A rafforzare questa percezione sono state le dichiarazioni insensate di Christine Lagarde che hanno mostrato l'immagine di un'Italia abbandonata a sé stessa.

In realtà, l’azione tardiva dell'UE resta decisamente correlata all’assenza di potere reale che questa entità esercita sui propri membri.

Il primo segnale di solidarietà nei confronti dell’Italia è arrivato dal Consiglio dei ministri che ha deciso di stanziare 25 miliardi di euro per rispondere alle conseguenze economiche del virus. L’azione successiva è stata quella di ammonire la Francia e la Germania sbloccando l’export di mascherine verso l’Italia. A spezzare la linea dura di Parigi e Berlino è stato l’intervento del Commissario francese Thierry Breton[1]. Arrivando persino a minacciare l’avvio di una procedura di infrazione, la Commissione è riuscita a dare una dimensione più europea alla gestione di un’emergenza che si propaga velocemente all’interno degli Stati membri.

Qualche giorno dopo (lunedì 16 marzo), la Commissione ha diffuso anche delle linee guida in 25 punti per la gestione delle frontiere per proteggere la salute. In essi, si cerca di assicurare il funzionamento del mercato unico con particolare attenzione per i prodotti essenziali come medicine, equipaggiamento medico e cibo. All’interno di queste linee guida, viene annunciata l’adozione di misure di screening e controlli sistematici per coloro che vogliono entrare nella zona Schengen[2].

Un faticoso tentativo di coordinamento di fronte alla disgregazione.

Mentre gli Stati Uniti e il Regno Unito puntano sulla strategia dell’auto-isolamento, l’Europa inizia a dare i primi riscontri positivi nel cercare di coordinare uno spazio geograficamente stretto e sottoposto un’intensità di flussi e spostamenti di persone che non lasciano molti dubbi su come sia avvenuta la propagazione del virus all’interno di esso. I partner però, viaggiano a ritmi diversi e, mentre la Spagna ha già adottato delle misure simili a quelle italiane, la Francia ci sta mettendo qualche giorno in più. A Berlino invece non sembrano intenzionati ad adottare dei provvedimenti restrittivi.

Sono molte le aspettative – positive e negative – che si stanno formando intorno all'operato di un'Europa che, in questi giorni, torna al centro del dibattito. I limiti di carattere politico e giuridico di cui esse risentono, e la discrezionalità che gli Stati esercitano al suo interno, non bastano più ad attenuare il dibattito che si è venuto a creare nelle ultime settimane. Le reazioni, spesso negative, che provengono da porzioni sempre più ampie dell’opinione pubblica, potrebbero essere interpretate come la domanda di risposte comunitarie ai problemi che trascendono la dimensione e la capacità dello Stato-nazione.

[1] Si veda EU moves to limit exports of medical equipment outside the bloc, Politico.eu

  https://www.politico.eu/article/coronavirus-eu-limit-exports-medical-equipment/

[2]  Si veda “Corona Virus, le ultime notizie dall’Italia e dal mondo, Corriere della Sera, 16/03/2020. https://www.corriere.it/cronache/20_marzo_16/coronavirus-ultime-notizie-italia-oggi-mondo-a560061e-674b-11ea-93a4-da8ab3a8afb1.shtml

16 marzo, Lockdown in espansione.

“Noi siamo in guerra”. Con queste dichiarazioni enunciate la sera del lunedì 16 marzo nel suo discorso alla Nazione, Macron ha decretato il lockdown nel territorio francese[1]. Dall’affermazione “non siamo l’Italia” alla dichiarazione dell’emergenza ci sono voluti poco più di 3 giorni. Alcuni settori hanno cercato di giustificare l’adozione di certe misure in base sottolineando che i francesi non hanno rispettato i primi provvedimenti ma, in realtà, l’ambiguità stessa di queste misure ha ispirato i francesi a continuare nella loro normalità. Tanto, nella narrazione ufficiale, il fatto di non essere l’Italia permetteva di prendersela con calma, senza disperarsi.

Nello stesso giorno, anche la Germania ci ha ripensato imponendo delle severe restrizioni ai movimenti interni e procedendo alla chiusura di stabilimenti commerciali, chiese, sedi sportive, bar e clubs. La cancelliere Angela Merkel ha dichiarato che queste restrizioni hanno l’obiettivo di ridurre il numero dei contatti per cercare di diminuire al massimo la propagazione del virus.  Questi provvedimenti sono stati annunciati ore dopo che la Germania imponesse dei severi controlli nei suoi confini[2].

Di fronte all’emergenza, la Presidente della Commissione Europea, Von Der Leyen, sta analizzato se approvare o meno l’eventuale imposizione di controlli nei confini nazionali e, quindi, la sospensione temporanea della Zona Schengen. Questa scelta riscontrerebbe l’opposizione di Macron, il quale si è detto contrario a ogni reimpostazione unilaterale dei controlli. Lo stesso Presidente francese preme per una risposta Paneuropea alla crisi.  

Facendo un ripasso di quanto accaduto nei giorni scorsi, mentre Parigi, Berlino e Londra discutevano sull’utilità o meno delle misure intraprese dall’Italia, il virus continuava a propagarsi all’interno dei loro territori. Di nulla è servito argomentare la non necessità o la non scientificità delle misure drastiche. Altrettanto inutili sono state le promesse di non adottare dei provvedimenti estremi o l’ipotesi dell’immunità di gregge. A questo punto, potremmo affermare che l’indecisione degli Stati europei è servita solo a prolungare la permanenza del virus all’interno dello spazio unico. Il tempo perso durante quei giorni in cui l’Italia veniva osservata con un particolare complesso di superiorità, sarebbe stato utile per agire in anticipo adottando le dovute misure precauzionali.

[1] Si veda «Nous sommes en guerre » : face au coronavirus, Emmanuel Macron sonne la « mobilisation générale », Le Monde  https://www.lemonde.fr/politique/article/2020/03/17/nous-sommes-en-guerre-face-au-coronavirus-emmanuel-macron-sonne-la-mobilisation-generale_6033338_823448.html

[2] Si veda Germany moves to seal off borders to fight coronavirus pandemic, Financial Times https://www.ft.com/content/2f8967a2-66d6-11ea-800d-da70cff6e4d3


Spunti conclusivi:

In sintesi, sembra che il comportamento irresponsabile adottato dagli esseri umani si stia replicando nelle unità politiche che compongono l’attuale sistema internazionale (inclusa l’Europa). Gli egoismi nazionali, l’assenza di un coordinamento interstatale nell’affrontare l’emergenza e la mancata volontà politica da parte dei governi che, pur condividendo uno spazio geografico comune, hanno deciso di non adottare dei provvedimenti simili per contrastare la diffusione del virus in questione, sono l’ennesima prova della frammentazione con cui i membri dell’Unione Europea decidono di affrontare un problema che trascende la loro capacità in quanto Stati Nazione.

Come nel caso degli individui, poco disposti a cedere dei pezzi di libertà se non per volontà dello Stato nell’esercizio della sua potestà coercitiva, gli Stati, in mezzo alla comunità da essi composta e, in assenza di un’entità superiore (nonché degli Stati Uniti di Europa), non sembrano disposti a pensarsi come parte integrante di un tutto, ma tendono a rivendicare la loro sovranità anche dinanzi a un problema che ha a che fare con gli aspetti più essenziali della nostra esistenza, come lo sono la salute e la preservazione della vita umana.

Paradossalmente, mentre la diffusione incontrastata del COVID-19 mette in discussione le rappresentazioni spazio-temporali che fino a ieri ci garantivano un certo ordine sociale, gli Stati – così come gli individui – lasciati a sé stessi, tendono a rivendicare la propria discrezionalità sullo spazio, sulle cose e sui corpi ostacolando ogni forma di cooperazione. È come se ogni richiesta, pur temporanea, di agire pensando al bene della collettività, mettesse a rischio una certa garanzia del possesso.

In questi tempi di emergenza, gli Stati europei, così come gli individui in assenza di organi e istituti di coercizione, si stanno comportando come se i doveri, il rispetto delle regole e le misure precauzionali riguardassero ‘gli altri’ mentre continuano a rivendicare per sé tutte le prerogative necessarie per esercitare il proprio diritto alla “normalità”. Comportandosi così, sia gli individui che gli Stati mettono a rischio la propria condizione. Per ovvie ragioni,  la filosofia del “si salvi chi può” sembra non tenere conto del semplice fatto che, per superare certe emergenze, serve anche la presenza e la collaborazione dell’altro.

CIVITAS EUROPA – Dr. Estefano Soler

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