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L'Occidente nella tempesta

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Secondo il vocabolario Treccani per escalation si intende una “condotta delle operazioni belliche caratterizzata da un aumento progressivo e graduale nell’impiego delle armi e nell’estensione delle misure militari. In senso più ampio, qualsiasi azione o comportamento caratterizzati, nel loro corso, da un aumento graduale d’impegno o d’intensità”[1].

Nel linguaggio corrente questo termine è solitamente accostato alle crisi internazionali. Infatti, per esempio, nei mesi precedenti l’invasione russa dell’Ucraina si parlò costantemente di escalation. L’invasione fu infatti preceduta da un progressivo aumento della tensione tra la Russia e l’Ucraina appoggiata dall’Occidente.

Sebbene non sia comune utilizzare il suddetto anglicismo per riferirsi alla situazione politica interna di un paese, se riflettiamo su quanto sta avvenendo negli Stati Uniti da qualche anno a questa parte, la tentazione di parlare di escalation è fortissima. Semmai ci fosse stato bisogno di una conferma, il tentato assassinio di Donald Trump è l’ennesima, drammatica prova che gli Stati Uniti sono lacerati da un clima di crescente polarizzazione che non si vedeva da decenni.

Il graduale aumento della tensione è stato evidente negli ultimi anni. In origine c’è stato un imbarbarimento del dibattito politico tra democratici e repubblicani all’insegna della demagogia più becera e della demonizzazione dell’avversario. Allo stesso tempo sono aumentate le stragi con movente politico, mentre all’estrema destra si è assistito alla diffusione di movimenti complottisti e milizie paramilitari.

Trump, entrato in carica nel gennaio 2017, si è rivelato figlio e acceleratore del degrado della politica statunitense. Il rischio di una deriva autoritaria fu denunciato già durante i primi anni della sua presidenza ma il tycoon ha calato la maschera una volta per tutte solo dopo le elezioni del 2020. Inutile girarci attorno: Trump si è reso politicamente responsabile di un tentativo di sovversione violenta dell’ordine costituzionale e democratico, culminato nell’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021.

Il tentato assassinio durante il comizio a Butler si inserisce in quella scia di odio e violenza che sta progressivamente erodendo i pilastri che sostengono la democrazia statunitense. L’impressione, tuttavia, è che il peggio debba ancora venire. Sebbene l’attentato abbia rafforzato Trump, mettendo ancora più in risalto la senilità del presidente Joe Biden, la sconfitta del candidato repubblicano rimane una possibilità concreta.

Come reagirebbero Trump e il partito repubblicano nel caso vincano i democratici? Gli Stati Uniti andrebbero incontro a un secondo 6 gennaio? E che dire dell’incolumità di Biden da qui fino alle elezioni? Non è che un qualche estremista, per vendicare quanto successo a Trump, potrebbe attentare alla vita del presidente?

Gli Stati Uniti stanno attraversando una fase politica incandescente e le elezioni del prossimo novembre avranno un’importanza storica enorme. L’instabilità politica mette a rischio la continuità del ruolo internazionale di Washington. Come abbiamo scritto in un precedente articolo[2], l’Unione Europea dovrebbe cogliere la palla al balzo e sfruttare l’occasione per iniziare a pensarsi e agire senza l’America. Il rischio del ritorno di Trump alla Casa Bianca, a Occidente, e l’aggressività russa, a Oriente, pongono sfide formidabili all’Unione Europea. C’è in ballo la sicurezza del Vecchio Continente, che non può dipendere per sempre dalla volontà politica degli Stati Uniti.

Le elezioni europee dello scorso giugno non hanno stravolto gli equilibri politici in seno al Parlamento. A livello comunitario, la nuova legislatura sembra essere iniziata nel segno della continuità rispetto alla precedente. Roberta Metsola è stata riconfermata presidente del Parlamento, così come Ursula Von der Leyen alla guida della Commissione, che sarà sostenuta da una maggioranza parlamentare europeista.

Semmai il problema per l’Europa è rappresentato dal suo motore, ovvero l’asse franco-tedesco. I governi dei due paesi più importanti dell’Unione non stanno attraversando un buon momento. Le elezioni europee in Francia hanno fatto registrare, come previsto, l’exploit del Rassemblement National. Exploit che ha spinto il presidente Emmanuel Macron a prendere la decisione, criticata da alcuni, di sciogliere l’Assemblea Nazionale.

La disciplina repubblicana per arginare l’estrema destra ha funzionato anche questa volta ma le elezioni legislative hanno dipinto un quadro politico frammentato. Il rischio di una coabitazione con Jordan Bardella a capo del governo è stato scampato ma per la Francia sembra essersi aperta una stagione di instabilità politica che impatterà negativamente sul suo ruolo a livello continentale.

Per quanto riguarda la Germania, la coalizione eterogenea che compone il governo federale sembra ostacolare l’assunzione di iniziative politiche importanti. Come se non bastasse, il partito socialdemocratico – di cui fa parte il cancelliere Olaf Scholz – ha ottenuto un risultato deludente alle elezioni europee, che invece hanno premiato il partito di estrema destra Alternative für Deutschland. Inoltre, in settembre si svolgeranno le elezioni regionali in Brandeburgo, Sassonia e Turingia, dove ci si aspetta che l’estrema destra incrementi ulteriormente i consensi.

Con il motore franco-tedesco ingolfato e una presidenza ungherese del Consiglio dell’Unione Europea che è già problematica[3], la Commissione sembra essere l’ultima roccaforte della stabilità dell’Unione. Tuttavia, senza il supporto convinto di Francia e Germania, qualsiasi iniziativa a livello comunitario è destinata a non andare in porto. Si prospettano quindi mesi, se non anni, difficili, da una parte e dall’altra dell’Atlantico. Se ne compiacciono i rivali dell’Occidente, a partire dalla Russia di Putin.

Le elezioni europee hanno messo a tacere il principale sostenitore dell’intervento diretto occidentale in Ucraina, ovvero il presidente francese, e c’è da scommettere che il governo russo metterà in funzione la sua macchina di disinformazione e propaganda per favorire la vittoria di Trump negli Stati Uniti. Il candidato repubblicano non solo ha dichiarato in più occasioni di voler favorire il raggiungimento di un accordo tra Russia e Ucraina. Il vice scelto da Trump, cioè l’attuale senatore James David Vance, è noto per la sua contrarietà all’invio di aiuti al paese aggredito[4].

Certo, potrebbe trattarsi di promesse elettorali. Tuttavia, già adesso si respira nell’aria una sensazione fortissima. L’impressione è che il ritorno di Trump alla Casa Bianca avrà delle conseguenze importanti sul ruolo internazionale degli Stati Uniti, in particolare per quanto riguarda i rapporti con gli alleati. Il fatto davvero preoccupante è che l’Europa non sembra pronta per farvi fronte.

  1. Escalation, treccani.it.
  2. Massimiliano Palladini, L’Europa deve pensarsi senza l’America, civitaseuropa.com, 3 marzo 2024.
  3. Riccardo Raspanti, L’infiltrato, civitaseuropa.com, 16 luglio 2024. [↑](#footnote-ref-3
  4. Shannon K. Kingston, Chris Boccia, Trump's VP pick Vance opposes US aid for Ukraine, intensifying fear for Kyiv's future, abcnews.go.com, 17 luglio 2024.
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