L'Occidente e il mondo che cambia
L’Occidente ricorderà gli anni Venti del XXI secolo come il decennio in cui la Storia ha ripreso il suo cammino. Questo senso di angoscia strisciante ci accomuna tutti: gli eventi paiono irrimediabilmente fuori dal controllo dei nostri rappresentanti democraticamente eletti.
Ognuno di noi assiste quotidianamente al disfacimento dell’ordine internazionale. I venti di tempesta ci raggiungono attraverso lo schermo dei nostri dispositivi, dalle pagine dei giornali, dalle voci di chi vive sulla propria pelle le varie “Ucraine” e “Palestine” che bruciano nel mondo.
Fatichiamo ad ignorare con la solita sicumera la slavina di tragedie che travolge innumerevoli vite in ogni parte del globo. I drammi degli anni Venti colpiscono molto vicino a casa, si insinuano nelle nostre esistenze e ci obbligano a riscoprirci vulnerabili, un sentimento inedito nell’esperienza occidentale post 1945.
La contraddizione tra pensiero ed azione all’interno dell’Occidente è diretta conseguenza di questa vulnerabilità. Ora che la guerra bussa alle porte, i principi fondanti delle democrazie occidentali paiono negoziabili e adattabili al contesto. E i diritti che valgono per gli ucraini non valgono per i palestinesi. Ci sono morti e morti, nazioni e nazioni.
Il resto del mondo guarda alle contraddizioni occidentali con crescente volontà di rivalsa. La rabbia monta davanti alle immagini di corpi massacrati, case e vite distrutte. La colpevole inazione degli USA e della UE, che continuano a supportare Israele dietro le quinte, ha come conseguenza lo sbriciolarsi dei pilastri che reggono l’ordine internazionale.
Siamo davvero disposti a sconfessare i principi dell’ordine liberale, in un momento storico in cui le crisi geopolitiche si moltiplicano e le grandi potenze globali scivolano sul piano inclinato del confronto nucleare? Come si può difendere il diritto di Taiwan all’autodeterminazione, quando lo si nega alla Palestina?
Il mondo cambia e un giorno o l’altro ci lascerà indietro, prigionieri delle nostre contraddizioni. Per noi europei non è solo una questione morale, ma politica. La combinazione di diversi fattori di crisi (ambientale, demografica, economica, democratica) ci sballotta qua e là, a rimorchio del nostro più solido fratello statunitense. Eppure, è proprio quando la tempesta monta che ci si deve affidare ai propri punti fermi.
Non basta più celebrare i principi dell’Unione, quindi. Serve agire in maniera coerente con gli stessi, in Europa come nel resto del mondo.
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