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"L'Italia non intende voltarsi dall'altra parte"

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In questi giorni la politica è ritornata prepotentemente al ruolo di protagonista, sulla scia dei venti che funestano l’Europa. La guerra in Ucraina ha costretto i leader europei ad affiancare al mero calcolo economico considerazioni di tipo eminentemente politico. Lo richiedono i tempi eccezionali in cui siamo stati precipitati, lo richiede l’aggressione russa, che non si rivolge solo all’indipendenza dell’Ucraina, ma alle fondamenta di pace e sicurezza su cui è stata costruita l’Unione Europea.

L’Italia ha visto la trasformazione del Presidente del Consiglio Mario Draghi, il “Tecnico” evocato nel momento del bisogno per gestire la prova del PNRR, nel “Politico” che indica la direzione da percorrere per affrontare la crisi. Al pragmatismo usualmente associato alla figura di Draghi si è aggiunta la volontà di individuare valori irrinunciabili, attinenti alla dimensione democratica della galassia europea, messi in discussione dalle minacce del regime di Putin.

Draghi è intervenuto al Senato assicurando che “L’Italia non intende voltarsi dall’altra parte”, proseguendo sulla via delle sanzioni economiche senza smarrire la consapevolezza del loro costo per i cittadini italiani. Un costo che dona significato politico ulteriore alla posizione del nostro paese: un sacrificio che non si consuma sul campo di battaglia, ma nelle vite di ognuno di noi, nella nostra quotidianità. I cittadini italiani, come quelli di tutta Europa, vengono risucchiati dal vortice della Storia, sono chiamati a difendere i valori della pace, della democrazia, dell’autodeterminazione, a non cedere alla paura e alla convenienza economica.

Il Presidente Draghi ha voluto ricordare al Parlamento che il futuro dell’Italia è inscindibilmente intessuto con quello dell’Europa unita. Se, storicamente, nei momenti di crisi (quindi, di necessità di modificare l’esistente verso una migliore risoluzione) l’integrazione europea ha accelerato il suo cammino, lo ha fatto con l’indispensabile contributo dell’Italia. Un Paese che mai ha potuto disporre della leva economica e militare per ottenere una posizione di prestigio nel consesso europeo, ha fatto della visione politica la sua spada e dell’ideale di unità europea il suo stendardo.

Era il 1951 quando Alcide De Gasperi ottenne di inserire, nel Trattato che istituiva la Comunità Europea di Difesa, il suo progetto per la Comunità Politica Europea che avrebbe federato l’Europa a Sei attorno alle neonate Comunità Europee. Sull’azione di De Gasperi pesarono certamente considerazione pragmatiche e contingenti, quale la consapevolezza del divario di capacità industriali e militari dell’Italia di allora con Francia e Germania, potenze da imbrigliare tramite lo strumento democratico dell’Assemblea comunitaria. Ma l’iniziativa nacque dalla visione di un uomo che, per la sua storia personale e per ferma convinzione d’ideali, si sentiva europeo e credeva nelle potenzialità creative dell’azione politica. Anche di fronte a missioni di colossali proporzioni, quale quella di pacificare il continente europeo bagnato dal sangue.

Oggi, davanti ad una nuova sfida, Mario Draghi ha indicato la strada al Parlamento: l’Italia, che non ha le capacità di spesa della Germania né la forza militare della Francia, deve diventare la più convinta proponente dell’unificazione della difesa dell’Unione, sul piano operativo e su quello industriale. Sul piano energetico, allo stesso modo, l’Italia deve premere perché si giunga ad una politica energetica comune, che acceleri la transizione verso l’azzeramento delle emissioni ma che garantisca anche l’indipendenza energetica dell’Unione.

L’obiettivo è quello di superare la crisi insieme agli altri Stati membri, quindi. Ma anche quello di recuperare la posizione che l’Italia ha storicamente ricoperto: il mediatore tra la Francia e la Germania, la dinamo politica capace di energizzare il processo di integrazione ad ogni svolta della storia. A prescindere dagli esiti delle proposte italiane, il ritorno alla visione di De Gasperi apre una nuova stagione politica per il nostro Paese.

E’ il ritorno ad una visione di protagonismo italiano sulla scena europea, abbandonata senza rimorsi con la crisi della politica e quella “fine della storia” nefastamente profetizzata da Fukuyama. Il motore della storia non si è mai arrestato: ora sta alla politica il compito di sfruttare la propulsione degli eventi per aprire un nuovo capitolo in Europa.

 

Riccardo Raspanti

CIVITAS EUROPA - DIVISIONE ECONOMIA

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