La proposta USA sulla liberalizzazione dei vaccini non ha senso economico né tantomeno sanitario, ma solo geo-politico.
Il Presidente Biden, per mezzo della Trade Representative, Signora K. Tai, nella sua esternazione del 5 maggio 2021, ha proposto la liberalizzazione dei brevetti sui vaccini anti Covid-19, al fine di accelerare l’annosa lotta alla pandemia. Il fondamento di tale proposta risiede nella convinzione che il sistema dei brevetti rappresenti un freno alla produzione e quindi alla disponibilità dei vaccini. Ma è veramente così? Analizziamo innanzitutto la situazione attraverso semplici argomenti microeconomici. Il brevetto conferisce al suo proprietario il monopolio nella produzione e questo comporta, in confronto ad un sistema concorrenziale, prezzi più alti (e quantità prodotte minori se la domanda di vaccini è sufficientemente elastica, ovvero sensibile a variazioni di prezzo). Se fosse semplicemente così, la proposta USA avrebbe senso, salvo poi dover prevedere un sistema alternativo di incentivi alla ricerca e alla creazione di startups, oppure sperare (ironicamente) che quella in corso sia l’ultima pandemia della storia. Non si può però neppure accettare tale posizione, perché il monopolista può anche decidere di vendere il suo brevetto in un contesto di mercati segmentati, quale è quello internazionale dei vaccini. Il detentore di brevetti può infatti vendere il suo diritto di produrre in mercati stranieri (es. in paesi del terzo mondo) e aumentare così il suo profitto; affinché però ci siano acquirenti di tali diritti, ci devono essere appropriate filiere produttive e idonei sistemi di distribuzione e erogazione dei vaccini stessi. Allo stato attuale, è la mancanza di queste ultime condizioni che ha determinato una capacità produttiva contingentata (d’altra parte non ci si poteva aspettare diversamente, visto che “è mancata un’istituzione in grado di garantire il tempestivo ampliamento di una filiera complessa”)1.
D’altra parte, non sembrano condivisibili le tesi riportate sull’Economist nell’articolo “Intellectual property and Covid-19” da tre illustri economiste (Mazzuccato, Ghosh e Torrelle); alcune delle tesi più rilevanti possono essere sintetizzate come segue. La sospensione dei brevetti agevolerebbe la vaccinazione mondiale fino a coprire il 60% della popolazione e così facendo eviterebbe la creazione di varianti che si riverserebbero anche sulla parte ricca del mondo.
La nostra obiezione a tale tesi è che, innanzitutto ragioni economiche e manageriali dovrebbero essere considerate per spiegare le ragioni di questa fetta di mercato potenzialmente insoddisfatta (il 60% di cui sopra meno la quota attualmente vaccinata). Allo scopo, due ordini di motivi possono essere proposti, ai quali policies differenti potrebbero essere individuate e applicate nel contesto internazionale.
Il primo motivo necessita di una domanda preliminare: con la vendita del brevetto a protezione dei vaccini anti Covid-19, si trasferisce una tecnologia che può solamente replicare il vaccino, oppure si acquisisce una conoscenza del settore tecnologico più generale, tale da riutilizzarla in altri settori farmaceutici, come ad esempio nella cura sul cancro2? Nel caso in cui la tecnologia potesse essere utilizzata esclusivamente per il vaccino anti Covid-19, non si capisce, quindi, perché le aziende farmaceutiche non siano disposte a vendere il loro brevetto, anche a prezzi minimi, per ammortizzare ulteriormente i costi fissi sostenuti. Nel secondo caso, invece, è chiaro perché questa vendita non avvenga: è ovvia, infatti, la riluttanza a trasferire tecnologie con più ampia applicazione (che si configurerebbe come un’esternalità positiva non compensata); al riguardo, la MIT Technology Review (Febbraio 2021) prevede che le prossime applicazioni della tecnologia basata sull’ mRNA possano essere utilizzate anche contro l’HIV e l’anemia drepanocitica.
Il secondo motivo si basa sull’osservazione che, per le case farmaceutiche, esiste un trade-off tra il profitto immediato, generato dalla vendita dei brevetti su scala mondiale, e il profitto futuro generato dalle varianti, il cui presupposto è lasciar diffondere il vaccino in una parte consistente del pianeta. A ben vedere, tale potenziale atteggiamento opportunistico potrebbe essere combattuto con norme pro-concorrenziali senza scardinare il sistema dei brevetti. Comunque, la concorrenza a livello globale non sembra mancare, non solo per l’alto numero dei partecipanti al mercato dei vaccini, ma anche per la concorrenza a livello degli Stati finanziatori di appartenenza (il cui ruolo geopolitico viene esaminato di sotto). Se, tuttavia, l’ipotesi della concorrenza non può essere accettata, si potrebbe proporre un compromesso basato sul fatto che la rendita oligopolistica ha, in questo contesto, due fonti: quella generata dal brevetto e quella generata dalla collusione di aziende operanti nello stesso mercato (oligopolio alla Cournot). La produzione quindi potrebbe essere accelerata colpendo un eventuale cartello ma non compromettendo il sistema dei brevetti, cui gli Stati riconoscono una rendita giusta.
Anche la citazione, da parte delle illustri economiste, della stima sulla percentuale di finanziamento del vaccino di Astrazenca, ovvero del 97% di fondi pubblici3, non giustifica la proposta. Per due fondamentali ragioni. Il primo riguarda la totale non considerazione del ruolo che l’incertezza ha per le decisioni di investimento; viene poi la non considerazione che la ricerca si basa su capitale intangibile (umano e non). Investighiamo questi aspetti separatamente.
Per quanto riguarda l’effetto “incertezza”, se, ipoteticamente, il caso delle fonti di finanziamento di Astrazeneca fosse ufficialmente utilizzato per spiegare la sospensione dei brevetti, gli investitori si chiederebbero quale sia la soglia minima di finanziamento pubblico al di sopra del quale ogni investimento non sarà più protetto dai brevetti. Questo comprometterebbe il connubio pubblico-privato nella conduzione della ricerca applicata, le cui conseguenze sono facilmente immaginabili. Per quanto riguarda la non considerazione delle capacità manageriali e del capitale iniziale, un riferimento teorico può essere utile. Secondo la Teoria delle Opzioni Reali__4, il valore sostanziale di ogni impresa risiede nel suo portafoglio di opportunità di investimenti, opportunità che sono state create nel tempo, accumulando capitale intangibile nelle sue varie forme (capitale umano e fisico, conoscenze dei mercati, know-how tecnologico, etc,…), e non quindi il costo dell’investimento a margine (che risulta essere solo uno dei numerosi costi dell’investimento). Per comprendere cosa la Teoria delle Opzioni Reali ci può insegnare sull’argomento, immaginiamo il caso ipotetico che ilvaccino sia finanziato da enti pubblici e/o caritatevoli per una quota pari anche al 100% dei costi totali. Si potrebbe dire che l’iniziativa privata sia ininfluente? A ben vedere, la capacità di attrarre l’ipotetico 100% dei fondi implica un’iniziativa privata a monte, dedita a costituire il capitale necessario sotto varie forme, come, ad esempio, l’acquisizione di personale specializzato e la connessa capacità produttiva. Si può quindi concludere, che l’iniziativa privata, di per sé abbia costituito il capitale iniziale, tale da poter reperire fondi anche dal settore pubblico e/o caritatevole.
La proposta USA può tuttavia essere letta in chiave geopolitica. Essa è coerente con la volontà di riconsolidare il soft power indebolito sotto la Presidenza Trump, e rivolto in primis contro la Cina e in secundis contro l’Europa e (di nuovo in primis) contro la Germania, visto che molti brevetti sono detenuti dalle grandi case farmaceutiche europee5. Agli occhi del mondo, gli USA vogliono apparire come degli healers (curatori) della pandemia contrapponendosi alla Cina che dovrà passare come lo stato untore e non certamente benefattore6; d’altra parte, se a farne le spese saranno gli investimenti in ricerca, (in particolare quelli tedeschi, cinesi e russi), che sarebbero i primi a rimetterci dall’eventuale liberalizzazione, si sarà raggiunto anche il secondo (ma non meno strategicamente importante) obiettivo. Si pensi, ad esempio, alle conoscenze generali acquisite sulla tecnologia basata sull’mRNA e ai suoi (potenziali) straordinari risvolti sulla medicina generale (come sottolineato sopra).
Non è comunque da escludere che, per gli USA, il primario nodo geopolitico da sciogliere non riguardi direttamente la Cina, ma, appunto, la supremazia tecnologica che gli USA hanno sempre perseguito, anche nei confronti dell’Europa. In questo caso, comunque, il dilemma della priorità degli obiettivi non si porrebbe, visto che la proposta li persegue entrambi. Si noti che, come sopra sottolineato, il ragionamento non cambia aggiungendo un ulteriore elemento, cioè quello che gli Stati abbiano abbondantemente finanziato la ricerca e quindi i suoi frutti siano un “bene della collettività”. Da notare che il Presidente Biden aveva come potenziale strategia alternativa quella di chiedere soltanto alle case farmaceutiche direttamente finanziate dal governo americano la liberalizzazione dei rispettivi brevetti7_,_ ma questa strategia non avrebbe perseguito l’intento di contenimento dell’avanguardia tecnologica dell’Europa e degli Stati non allineati.
A tal proposito non si può non ricordare il fallito tentativo dell’ex Presidente americano, Trump, di acquisire la casa farmaceutica CureVac (che, a suo tempo, lavorava all’antidoto ed era in fase avanzata di sviluppo). L’offerta, di oltre 1 miliardo di dollari8, incontrò la ferma opposizione del governo tedesco, che cercò di far rimanere il vaccino in Germania, per poterlo distribuire anche nel resto d’Europa, e quindi utilizzarlo geopoliticamente in chiave soft power (non meno del Next Generation EU).
Da notare che la Commissione Europea ha proposto (19 Maggio 2021) un piano di incentivazione alla produzione dei vaccini basato sul sistema delle licenze obbligatorie (compulsory licenses). Se dal punto di vista economico e sanitario può essere considerato marginalmente migliore rispetto alla proposta USA (dato che il criterio già formalizzato negli accordi WTO non può generare ulteriore “incertezza”) è dal punto di vista geopolitico che esso può avere più risonanza. Vedremo infatti se tale tentativo, di perseguire cioè l’indipendenza strategica negli ambiti internazionali del commercio e della sanità, avrà gli effetti sperati.
Dr. Andrea Beccarini, Westfälische Wilhelms-Universität Münster, Germania. E-Mail: abecc_01@wwu.de
Dott.ssa Laura Paolucci, ricercatrice indipendente; Docente presso VHS Münster, VHS Rheine, Germania. E-Mail: lau.paolucci@gmail.com
CIVITAS EUROPA - Collaboratori esterni
Note:
- Alessia Lo Turco, “Vaccini anti-Covid: perché l’Europa ne produce pochi”, La Voce.info (09.04.21).
- Si veda a proposito: welt.de, 17/05/2021, in cui si sottolinea come la nuova mRNA-Impftechnologie possa essere utilizzata nella lotta contro il cancro.
- Si veda: The Guardian, 16 Maggio 2021.
- Si veda, ad esempio: Dixit & R. Pindyck , Investment under Uncertainty, Princeton University Press, 1994.
- Per una quantificazione del soft power tra le varie Nazioni, si può considerare il Global Soft Power Index 2021, redatto da Brand Finance: la Germania risulta essere la prima in classifica.
- Majid Sattar, “Amerika will nicht die Rolle des Wohltäters überlassen“, Frankfurter Allgemeine Zeitung, 09/05/2021.
- “Sanofi und GSK erhalten von den USA Milliarden für Corona-Impstoff“ de, 31/07/2020.
- Jan Dams, “Donald Trump greift nach deutscher Impfstoff-Firma”, welt.de, 15/03/2020).