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"La pace inizia dalla cura delle parole"

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Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul numero uscito domenica 21 maggio di Nostro Tempo, il settimanale dell'arcidiocesi di Modena-Nonantola, che ringraziamo.

"La persona che è impegnata nella pace non  è la persona che si affida a un falso pacifismo o all'indifferenza. È la persona che denuncia, che documenta le ingiustizie; che paga anche ciò che dice purché si crei la giustizia, che è l'unico terreno adatto per la pace". Lo ha detto l'arcivescovo Castellucci nella tavola rotonda tenutasi lo scorso 11 maggio insieme a Michele Chiaruzzi, professore di Relazioni internazionali a Bologna e, per l'Unimore, Claudio Baraldi, professore di Sociologia dei processi comunicativi, Tindara Addabbo, prof.ssa di Politica economica all'Unimore e portavoce del rettore. L'incontro si è svolto presso i locali dell'associazione Bocciofila modenese su iniziativa di Civitas Europa Aps, contando sul patrocinio del Comune di Modena e dell'Università di Modena e Reggio Emilia (Unimore).

Castellucci ha inoltre ricordato don Lorenzo Milani, "di cui celebriamo fra pochi giorni il centenario della nascita. Egli aveva una cura particolare delle parole: ai suoi ragazzi, alcuni dei quali sono ancora viventi, faceva studiare come prima cosa l'etimologia delle parole perché diceva che chi conosce le parole conosce la cultura, può contare nel senso buono, e il problema dei poveri è che conoscono poche parole". "Don Milani - prosegue l'arcivescovo - aveva una cura particolare della parola perché la pace parte dalla cura della parola, dal coltivare e custodire il significato vero delle parole". Invito al quale si è associato il professor Chiaruzzi, sottolineando la necessità di compiere "un gesto molto semplice e molto banale, ma allo stesso tempo impegnativo: curare le parole e smetterla di usare ogni secondo un gergo bellicista che crea delle analogie false fra la nostra condizione pacifica e la guerra". "Questo è il tema, secondo me cruciale e decisivo, perché in una classica torsione storica noi abbiamo chiamato guerra una cosa che non era, la guerra non c'era. C'era la pandemia e, appena finita la pandemia, è iniziata una guerra vera: classica torsione storica, classica ironia della storia" ha commentato Chiaruzzi, citando l'esempio delle parole usate durante la pandemia (dal "siamo in guerra", pronunciato da Macron nel marzo 2020, alla frase "medici al fronte" usata dai media nazionali durante l'emergenza).

Riprendendo alcuni spunti della Lettera alla città, Claudio Baraldi ha ribadito che "il problema è la finta pace: quella dei monologhi, di chi fugge dal dialogo". "Perché il dialogo non è l'opposto del conflitto - prosegue Baraldi - ma uno stadio di confronto importante se si vuole prevenire la guerra". "Si tratta di incentivare forme di dialogo agonistico da parte di persone che sappiano porsi estremisti dei fini, non dei mezzi, che pur rivendicando la propria posizione, non si avvalgano dei mezzi della violenza" aggiunge Baraldi, parafrasando Ralph Hogan. "Discutiamo fino in fondo - l'appello di Baraldi - finché non si raggiunge una condizione di equilibrio".

Dialogo da promuovere anche nella dimensione locale, di prossimità, come affermato da Tindara Addabbo, che ha trasmesso ai presenti i saluti del rettore Carlo Adolfo Porro. "La nostra università non poteva che accogliere l'invito in un luogo situato al di fuori dai nostri edifici, nella città, con persone diverse che si trovano per discutere di queste due parole e per cercare, laddove esista, una possibilità per la pace in un mondo travagliato dalle guerre".

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