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La fine della potenza russa: basterà la sconfitta in Ucraina?

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C’è voglia di rivoluzione a cavallo dell’Atlantico. Non è un mistero che la tenacità della resistenza ucraina abbia sorpreso tutti, a partire dagli Stati Uniti, dove il capo di Stato maggiore aveva previsto la caduta di Kiev nel giro di 72 ore [1]. Infatti la prima cosa che il governo statunitense si offrì di dare a Zelensky non furono le armi, bensì un aereo che lo evacuasse dal paese [2]. Solo quando la resistenza ucraina ha dimostrato di andare oltre le aspettative, gli Stati Uniti e i loro alleati più fedeli (Regno Unito e Polonia prima di tutti) hanno deciso di cogliere la palla al balzo: sfruttare la guerra in corso per rendere l’Ucraina la tomba della Russia, ovvero sconfiggere la Russia con l’obiettivo che essa rinunci una volta per tutte alle sue ambizioni da grande potenza.

Questa politica comporta inevitabilmente un pericoloso surriscaldamento delle relazioni tra l’Occidente – inteso come il gruppo di paesi composto dagli Stati Uniti e dai loro alleati – e la Russia. Di fatto questo salto di qualità della politica occidentale ha reso la guerra russo-ucraina una guerra per procura. Gli Stati Uniti e i loro alleati stanno infatti utilizzando l’Ucraina per combattere la Russia.

I politici occidentali continuano a ripetere che non cercano lo scontro diretto con Mosca: il loro obiettivo è aiutare l’Ucraina a ripristinare la propria integrità territoriale nei confini del 1991. Si tratta di un banale gioco retorico che per giunta ignora la gravità della situazione. Più gli Stati Uniti e i loro alleati si impegnano a fianco dell’Ucraina, più aumenta il rischio di una degenerazione bellica della crisi tra Nato e Russia. L’eventuale ingresso di Kiev nell’alleanza se da un lato potrebbe disinnescare l’irredentismo russo, dall’altro farà aumentare il rischio di una guerra con Mosca. Specialmente nel caso in cui il conflitto in corso (non) finisca come la Corea [3].

Sia come sia, le velleità occidentali, oltre ad alzare l’asticella della tensione, sono malriposte. E perciò ancora più pericolose. Non è bastata la sconfitta nella guerra fredda per costringere la Russia a mettere da parte le sue aspirazioni di grandezza, figurarsi una guerra per procura.

La fine del patto di Varsavia e la dissoluzione dell’Unione Sovietica sono segni inequivocabili del declino della potenza russa. Da pilastro dell’ordine bipolare riconosciuto da tutta la comunità internazionale, la Russia, nel giro di pochi anni, è sprofondata in un abisso fatto di crisi politica, economica e sociale che ha seriamente compromesso le sue capacità di proiettare potenza all’estero. Gli anni Novanta furono terribili per la Russia sotto ogni punto di vista, niente a che vedere con le privazioni causate dalle attuali sanzioni occidentali. Con Vladimir Putin il paese ha ritrovato la forza e la volontà per far valere la propria voce sullo scacchiere internazionale, adottando una politica estera che non temeva di scontrarsi con gli interessi degli Stati Uniti.

Nonostante la ritrovata fiducia, la Federazione Russa continuava ad essere uno Stato ben più debole dell’Unione Sovietica, tant’è che lo status di grande potenza non gli era riconosciuto dal rivale di sempre, ovvero gli Stati Uniti. Come disse Barack Obama all’indomani dell’annessione della Crimea, “la Russia è una potenza regionale” che sta dimostrando la sua debolezza aggredendo un vicino [4]. Non c’è dubbio che l’esito della crisi ucraina del 2013 abbia rappresentato un grave smacco per la Russia. La cacciata del presidente filorusso Viktor Janukovic fu un’umiliazione e l’annessione della Crimea effettivamente fu un enorme segno di debolezza.

I drammatici fatti accaduti a cavallo tra 2013 e 2014 sono stati eloquenti. Dopo aver perso tutti gli ex alleati del patto di Varsavia e le repubbliche baltiche, la Russia perse anche l’Ucraina, un paese speciale agli occhi del Cremlino per via degli stretti legami etnici, linguistici e culturali con la Russia e che ai tempi dell’Unione Sovietica ricoprì un ruolo sempre molto importante.

Il presunto tradimento dell’Ucraina – il cui governo partorito dalle proteste di Euromaidan voleva avvicinarsi all’Unione Europea rinnegando il progetto russo dell’Unione Economica Eurasiatica – fu particolarmente umiliante per il Cremlino. Le pretese di grandezza della Russia andavano quindi di pari passo con l’aggravarsi del suo declino. Mosca si è dimostrata incapace di mantenere la fiducia di Kiev. Per una parte della popolazione e della classe politica ucraina, la Russia non era in grado di favorire il progresso del paese. Il Cremlino voleva solo controllare l’Ucraina e per fare ciò ne corrompeva il governo, aumentandone l’inefficienza. Da qui la decisione di scendere in piazza e volgere lo sguardo verso l’Occidente.

Il governo russo ha difficoltà a capire che la potenza di un paese non si misura solo con l’estensione territoriale, il numero di testate nucleari possedute e le dimensioni delle forze armate, ma anche con la capacità attrattiva del proprio sistema politico-economico e del proprio stile di vita. In gergo, l’abilità di conquistare i cuori e le menti delle popolazioni straniere. Da questo punto di vista il governo della Federazione Russa si è sempre dimostrato pessimo. Gli eventi di Euromaidan hanno messo sotto gli occhi di tutti la debolezza del soft power russo.

Nonostante lo smacco subito all’inizio del 2014, la Russia non ha rinunciato alle sue ambizioni di grandezza. E così ha continuato ad affondare sempre più in basso nella spirale del declino. Fino ad arrivare alla follia del 24 febbraio. Ennesima manifestazione di debolezza, resa ancora più umiliante dai deludenti risultati militari sul campo. La cosiddetta “operazione militare speciale” – che avrebbe dovuto portare alla conquista di Kiev nel giro di qualche giorno – si è trasformata in una sanguinosa guerra di logoramento nella steppa del Donbass. La Russia ha dovuto rivedere completamente i suoi obiettivi e la palese impreparazione per una guerra di lunga durata ha dato i suoi amari frutti lo scorso 24 giugno, quando la ribellione dei mercenari del gruppo Wagner ha tenuto il mondo con il fiato sospeso.

Malgrado tutto, il Cremlino non è intenzionato a fare marcia indietro. Piaccia o non piaccia, la Russia da almeno trecento anni è una grande potenza, o crede di esserlo. In questo lasso di tempo le cocenti umiliazioni non sono mancate. La sconfitta nella guerra di Crimea, la disfatta contro il Giappone – mai una grande potenza europea era stata battuta da una nazione asiatica – la Prima guerra mondiale e l’esclusione dal processo di costruzione dell’ordine postbellico. Infine, la disastrosa campagna in Afghanistan e la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Nonostante tutte queste umiliazioni, la Russia non si è sottomessa, ovvero non ha chiesto la protezione di una grande potenza, non ha messo da parte le sue ambizioni, né ha rinunciato al suo enorme arsenale nucleare.

La politica antirussa degli Stati Uniti e dei loro alleati più fedeli presenta quindi un enorme problema di proporzione tra fine e mezzo. Il fine è costringere la Russia, una volta per tutte, a rinunciare alle sue velleità di grandezza. Il mezzo è costituito dagli aiuti finanziari e militari inviati all’Ucraina. I paesi della Nato vogliono la sottomissione del Cremlino ma senza inviare un soldato nel Donbass, figurarsi in Russia. Questa politica è destinata a fallire miseramente. Per estirpare le ambizioni di gloria di una nazione bisogna sconfiggerla sul campo in una grande guerra e occuparla militarmente, spogliandola della sua sovranità per dare vita a un nuovo Stato politicamente, economicamente e militarmente legato indissolubilmente ai vincitori. I casi della Germania e del Giappone fanno scuola.

Il declassamento della Russia – da grande potenza a media potenza posta sotto la tutela dei vincitori – sarebbe un’autentica rivoluzione per la storia delle relazioni internazionali. Proprio perché da almeno trecento anni la Russia è, o agisce come, una grande potenza. Tuttavia, poiché nessuno è mai riuscito a conquistare tutto il territorio russo e siccome il governo russo possiede circa seimila testate nucleari, è inutile chiedersi quali potrebbero essere le conseguenze sugli equilibri internazionali di tale rivoluzione. Prima bisogna domandarsi che cosa rimarrà della Russia e dei suoi avversari.

Comunque, ritornando alle pretese occidentali, non si capisce per quale motivo la Russia dovrebbe rinunciare alle proprie ambizioni dopo una sconfitta in Ucraina. Alcuni potrebbero sostenere che questa è la volta buona: in effetti negli ultimi secoli la Russia non è mai stata così piccola dal punto di vista territoriale e il fatto che abbia deciso di attaccare un paese fratello come l’Ucraina la dice lunga sulla gravità del suo declino. Ma chi è in grado di assicurare che Putin e i suoi soci, dopo la sconfitta, non vengano sostituiti da fazioni ancora più aggressive e nazionaliste? Gli eventi del 24 giugno hanno messo sotto gli occhi di tutti che razza di soggetti potrebbe prendere il potere in Russia dopo Putin.

La politica antirussa occidentale produrrà solo due risultati: aggravare ulteriormente i rapporti tra Nato e Russia, aumentando il rischio di una guerra; mettere i bastoni tra le ruote dell’esercito russo in Ucraina, rendendo la vittoria molto più onerosa sia sul piano politico, sia su quello militare. Questo secondo esito probabilmente non costringerà la Russia a rinunciare alle sue ambizioni ma sicuramente la spingerà a più miti consigli per il futuro.

 

 

Massimiliano Palladini

 

Note

[1] Jacqui Heinrich, Adam Sabes, Gen. Milley says Kyiv could fall within 72 hours if Russia decides to invade Ukraine: sources, foxnews.com, 5 febbraio 2022.

[2] Sharon Braithwaite, Zelensky refuses US offer to evacuate, saying “I need ammunition, not a ride”, edition.cnn.com, 26 febbraio 2022.

[3] Massimiliano Palladini, Scenario coreano per la guerra russo-ucraina, civitaseuropa.com, 8 gennaio 2023.

[4] Julian Borger, Barack Obama: Russia is a regional power showing weakness over Ukraine, theguardian.com, 25 marzo 2014.

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