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La BCE é nostra alleata. Ma non fa miracoli.

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La settimana scorsa la Banca Centrale Europea è ritornata agli onori della cronaca, annunciando l’ampliamento del suo piano pandemico di acquisto di titoli di stato (PEPP). L’aumento è di circa 600 miliardi di euro, con l’obiettivo di “migliorare le condizioni di finanziamento per l’economia reale e in particolare per le imprese e le famiglie”. Durante tutto l’arco della crisi, la BCE ha svolto un ruolo fondamentale nel sostenere l’economia dell’Eurozona in grave difficoltà. E’ un ente centrale nella vita dell’Unione, ma il suo funzionamento è spesso poco conosciuto agli occhi dei cittadini europei.

La BCE nasce come erede dell’Istituto monetario europeo l’1 giugno 1998, in vista dell’introduzione dell’Euro. Fa parte del Sistema europeo delle banche centrali (SEBC), che racchiude le banche centrali nazionali dei 27 membri, anche di quelli che non adottano l’Euro. L’Eurosistema, invece, è composto dalla BCE e dalle banche centrali nazionali dei paesi che hanno introdotto la moneta unica: solo i governatori delle banche centrali dei suddetti paesi prendono parte al processo decisionale relativo alla politica monetaria dell’Eurozona. Il Trattato sull’Unione Europea, il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e lo Statuto del SEBC e della BCE costituiscono la base legale del funzionamento della banca centrale. Il principale scopo attribuito alla BCE è quello di controllare l’andamento dei prezzi: nello specifico, all’istituzione è affidato il compito di controllare che il tasso d’inflazione di medio periodo sia “inferiore ma vicino al 2%”. La stabilità dei prezzi è quindi l’obiettivo numero uno della BCE, secondo quanto stabiliscono i trattati. In seguito alla crisi del 2008, la BCE ha deciso di ampliare la propria azione: diversi programmi “non convenzionali” sono stati attivati nel decennio trascorso. L’utilizzo dello strumento del quantitative easing durante la presidenza Draghi ha posizionato la BCE nel solco di una politica monetaria più interventista, nonostante le limitazioni costituite dal ruolo assegnatole dai trattati. Dei programmi citati si ricorda il Securities Market Programme (SMP), un programma di acquisto sul mercato secondario di titoli di stato tra il 2010 e il 2012 nel contesto della “Crisi del debito sovrano”, e l’Outright Monetary Transactions (OMT), l’acquisto diretto di titoli di stato di “paesi in difficoltà macroeconomica grave e conclamata”, reso celebre dal discorso “Whatever it takes” dell’allora presidente Mario Draghi.

L'OMT non è mai stato dispiegato al completo delle sue potenzialità, ma il solo annuncio della creazione del programma ha rassicurato gli investitori e regalato respiro ai paesi in maggiore difficoltà. Ma basta l'intervento della BCE a risolvere i problemi economici di un paese?

COS’E’ LA MONETA?

Prima di trattare cosa comporti l’acquisto di titoli di Stato da parte della banca centrale, è fondamentale cercare di capire cosa sia la moneta. Anticipando che il termine moneta ha diverse classificazioni tecniche in cui eviteremo di addentrarci (M1, M2, M3… ecc.), bisogna partire elencando le sue funzionalità principali. La moneta è un mezzo di scambio e una riserva di valore . Il ricorso alla moneta per compiere una transazione in cosa si differenzia dal baratto? La principale differenza è che il valore intrinseco di un bene adoperato per il baratto (come una gallina, un sacco di patate o quant’altro) non è un valore oggettivo, non è un valore quantificabile. La moneta invece offre il vantaggio della non deperibilità, della fungibilità e soprattutto della quantificabilità  in termini nominali del suo valore. Perché si dice “quantificabile in termini nominali”? Poiché la moneta è quantificabile sì, ma il suo valore dipende dal potere d’acquisto (quindi dal variare dei prezzi). 100 dollari oggi non sono la stessa cosa di 100 ieri. Sono sempre 100 unità di 1 dollaro (quindi quantificabile nominalmente) ma non hanno lo stesso valore in quanto negli anni il potere d’acquisto del dollaro è cambiato. Se i prezzi aumentato, i dollari detenuti valgono meno, poiché la sua funzione di “mezzo di scambio” viene erosa. L’inflazione, cioè l’aumento dei prezzi, erode il potere d’acquisto e quindi il valore della moneta.

COSA STAMPA LA BCE?

Come ogni banca centrale, la BCE possiede un bilancio composto da attività e passività. Le attività di una banca centrale sono molteplici, fra cui varie riserve di valore come l’oro, titoli di Stato e possedimenti vari. Questo comporta che quando la Banca Centrale Europea aumenta la base monetaria, espandendo quindi la propria offerta di moneta, acquista delle attività con la moneta ad alto potenziale, come ad esempio titoli, valute estere o beni di vario genere che godano di una certa liquidità nel medio termine (operazioni di mercato aperto). Ciò significa che il circolante detenuto dai cittadini e dalle banche costituiscono delle passività. Ma la BCE emette circolante? Non direttamente. Essa emette base monetaria la quale viene accreditata ai depositi di riserva delle banche dei singoli Stati, le quali a loro volta emettono il circolante, che è la moneta che noi tutti adoperiamo quotidianamente. La differenza è che la passività chiamata “base monetaria” in sé non crea inflazione: l’inflazione si crea quando il circolante viene immesso nell’economia reale. La base monetaria è infatti la somma delle riserve di valore detenute dagli istituti bancari più il circolante emesso.

Nel passato il valore delle monete era corrisposto da un valore dato da un bene rifugio come l’oro. Con l’esplosione della spesa pubblica e l’avanzamento dei mercati finanziari l’ancoramento oro-moneta è stato superato. Oggi la fiducia del valore della moneta si basa sulla fiducia che si ha verso la Banca Centrale che emette la moneta, nel nostro caso quindi, la BCE.

La BCE controlla quindi solo la quantità di base monetaria mediante azioni di politica monetaria espansive (allargamento base monetaria tramite l’acquisto di attività pubbliche come i titoli di Stato) e controlla gli interessi a cui presta la moneta alle banche private nazionali. Ricordiamo che la base monetaria è la somma del circolante detenuto dai soggetti e le riserve accreditate presso gli istituti privati.

RICCHEZZA, REDDITO, MONETA

La moneta d’uso quotidiano non costituisce ricchezza e neanche reddito reale. Essa corrisponde ad una quantificazione nominale (priva di potere d’acquisto esplicito) del mezzo di scambio. Per avere una idea di quanto effettivamente la moneta detenuta da un cittadino valga, è necessario rapportarla al livello dei prezzi. Quando i prezzi scendono, uno stipendio espresso in euro ha un valore maggiore rispetto allo stesso stipendio espresso in euro in un periodo in cui i prezzi salgono. Il reddito è inoltre una misura da non confondere con la ricchezza. La ricchezza misura una accumulazione di redditi e proprietà. La ricchezza di una nazione non dipende dalla moneta solo, lo fa solo in microscopica parte nel lungo termine. Nel lungo termine infatti, l’unica cosa che aumenta la ricchezza di una Nazione è il livello di tecnologia, la produttività marginale, l’alfabetizzazione, la struttura dell’economia reale (dimensione media delle aziende con alti margini di valore aggiunto), una bassa diseguaglianza assoluta e una burocrazia snella che funga da infrastruttura all’economia. Nonché, ultimo ma non meno importante, un equilibrio fra consumi e risparmi. Una società principalmente di risparmiatori ristagna (Giappone e Italia settentrionale) così come ristagna una società di meri consumatori (Italia meridionale).

Inoltre, va ricordato come, la quantità di moneta deve essere sempre proporzionale al livello del reddito nazionale. Un dislivello fra le due sfere, porta a instabilità economiche e alla creazione di pericolose bolle. In sintesi, “stampare banconote” potrebbe avere effetti benefici solo sul brevissimo termine con gravi conseguenze sul medio termine e ancora più gravi sul lungo periodo.

QUANTITATIVE EASING

Mario Draghi, succeduto a Trichet, viene ricordato per il suo “whatever it takes” (a qualsiasi costo) relativo alla necessità di salvare l’Euro da un tracollo dettato dalla crisi del debito pubblico degli Stati membri (su cui, come prima detto, si poggia la fiducia e quindi il valore dell’Euro). Egli introdusse il Q.E.: si tratta di uno strumento di intervento della Banca Centrale Europea di natura non convenzionale, una misura quindi inconsueta “sui generis”. Infatti questa manovra non rientra fra le competenze ordinarie della BCE, il cui unico compito sarebbe di tenere l’inflazione della moneta unica a un livello pari o inferiore al 2%. Come funziona il Q.E.? Il Q.E. nasce da una situazione straordinaria, quale la crisi dei debiti sovrani del 2011 nell’eurozona. Esso predispone un aumento preponderante dell’acquisto da parte della BCE dei titoli di stato, cioè una espansione della base monetaria, manovra, questa, che dovrebbe essere “temporanea”. Altra misura di particolare interesse del Quantitative Easing è stata la mossa della BCE di rendere negativi i tassi di interesse: tutte misure queste atte a stimolare l’economia. Abbassando il tasso di sconto (cioè il tasso di interesse attraverso cui le banche private si indebitano con la BCE per emettere circolante) fino a livelli negativi si ottiene l’effetto per cui le banche private sono spinte, o quasi "obbligate", a prestare denaro e immettere liquidità nell’economia reale. Il risultato di questa mossa, nonostante fosse intenzionalmente lievemente inflattiva, non ha infatti fatto lievitare l’inflazione. Questo è stato dovuto al fatto che nonostante i tassi di interessi negativi, gli istituti di credito italiani, visto la loro struttura molto fragile (così come fragile è la struttura delle imprese italiane, costituite da micro o piccole aziende).

DUALISMO E BCE

Perché la Banca Centrale USA, la famosa FED, dispone di un tempestivo pacchetto di contromisure atte a fronteggiare immediatamente di petto gli shock economici, mentre invece la BCE no? Semplicemente perché la FED ha autorità sia fiscale sia monetaria, cosa che la BCE non detiene per volontà degli Stati membri che non vogliono trasferire la sovranità fiscale a un ente centrale. La FED infatti, operando su un territorio federale i cui membri sono privi di sovranità economica riesce ad operare immediatamente andando anche a controllare, in collaborazione col governo di Washington, le politiche fiscali atte a tenere sotto controllo la disoccupazione; disoccupazione che la BCE non può risolvere per una specifica volontà politica di arrestare il processo di integrazione europeo.

LE BANCHE ITALIANE

Diamo ora uno sguardo all'Italia. Qual è lo status di salute delle banche italiane oggi? Perché, nonostante l’iniezione di liquidità posta in essere dalla BCE nel corso degli ultimi 10 anni, le banche non hanno ampliato l’accesso al credito?

La crisi finanziaria del 2008, partita dagli Stati Uniti e diffusasi rapidamente a livello globale, si è riflessa in maniera massiccia sul mercato globale delle esportazioni. L’Italia ha risentito pesantemente di questo shock esogeno in quanto paese esportatore. Tra le conseguenze sull’economia reale, si riscontra un discreto peggioramento della qualità del credito. Le imprese esportatrici in buona parte facevano fatica a produrre utili sufficienti per ripagare i debiti contratti con le banche, riducendo il margine finanziario per quest’ultime e conseguentemente compromettendo il mercato dei prestiti.

Successivamente, nel 2010, gli eventi greci hanno generato una nuova crisi nell’Eurozona: quella del debito sovrano. Il fallimento di un paese appartenente all’area Euro ha generato un profondo senso di diffidenza negli investitori internazionali. Paesi ad alto rapporto debito-Pil come Spagna, Portogallo e la stessa Italia, risentirono pesantemente di questo improvviso calo di fiducia generalizzato. Le decisioni emergenziali prese all’epoca hanno avuto come conseguenza quello che in gergo tecnico prende il nome di credit crunch, ovvero un calo significativo dell’offerta di credito.

Le piccole banche, come ad esempio le banche popolari italiane, sono tra i soggetti che più hanno sofferto a causa della scarsa solvibilità delle imprese colpite dalla crisi, e ciò si è riflesso sui risparmiatori.

Sarebbe auspicabile che le piccole banche creassero degli strumenti di assicurazione reciproca in un periodo di crisi: le banche di credito cooperativo non possono ricapitalizzare sul mercato finanziario, come invece accade per le grandi banche poiché, secondo statuto, sono i soci che devono provvedere al capitale, e se i soci non hanno risorse la banca non può essere ricapitalizzata.

In secondo luogo, queste banche popolari si interfacciano con attività economiche a bassa redditività quali sono le piccole e medie imprese (spina dorsale del sistema economico Italiano). In condizioni difficili le imprese, divenute insolventi, “appesantiscono” le banche. Diviene quindi necessario dispeigare strumenti volti alla messa in  sicurezza di  queste strutture creditizie onde evitare che con i loro fallimenti possono fallire anche le comunità (spesso rurali) ad esse legate.  Una possibile riforma del sistema bancario dovrebbe tenere conto del ruolo delle banche popolari, proponendo la creazione di reti consorziali territoriali di banche popolari. Creare reti di piccole banche significa per quest'ultime abbattere notevolmente i costi per la gestione dei servizi, ad oggi infatti molte di queste strutture integrano nella loro singola filiale disparati servizi di analisi finanziaria e di supporto per i clienti che in una nuova riorganizzazione consortile potrebbero essere spalmanti su un numero maggiore di filiali ottimizzando notevolmente i costi e ponendo in essere un risparmio generalizzato a tutte le banche parte del consorzio. Imprescindibile è anche lo sviluppo di un piano di mutualizzazione dei capitali volto ad assicurare alla rete consorziale maggiore stabilità finanziaria.

Il Quantitative Easing avrebbe probabilmente dato risultati migliori in Italia se le piccole banche si fossero sentite più sicure, espandendo di conseguenza l’accesso al credito. Diviene perciò chiaro che la BCE, anche mettendo ogni risorsa disponibile in campo, non possa compiere miracoli. La politica monetaria è uno degli strumenti al servizio dell'economia, ma non è sufficiente di per sé. L'Italia necessita d'altro: l'esempio portato, quello del sistema bancario, è solo uno dei tanti contesti che gioverebbero di una serie di riforme nel nostro Paese.

 

CIVITAS EUROPA - Divisione Economia

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