Il voto democratico nelle istituzioni europee: Parlamento e processo di democratizzazione.
Su quali questioni si concentrano, quando si tratta di parlare d’Europa, le voci critiche del dibattito pubblico? L’identità nazionale e l’opposizione alle politiche di austerity sono le posizioni che hanno dominato il panorama politico europeo. Ma c’è un particolare set di obiezioni che trova d’accordo tutti i critici e oppositori, spesso utilizzato nei dibattiti per provare oltre ogni dubbio la corruzione e l’inutilità dell’Unione Europea. Il primo argomento è che l’Europa non sia democratica, il secondo che sia lontana dalle esigenze dei cittadini comuni, il terzo che il legame di solidarietà tra gli stati sia fragile e fittizio. Queste argomentazioni non possono essere liquidate come fandonie senza fondamento, poiché pongono una sfida esistenziale al processo di integrazione. E la costruzione europea, le sue istituzioni, non possono sottrarsi a queste domande che sottolineano una mancanza, un inciampo nel cammino dell’Unione che dilata di anno in anno la distanza tra l’Europa e la percezione dei cittadini dei 27 paesi. La questione va affrontata sia dal punto di vista istituzionale, e quindi dei rapporti di forza tra i vari attori della politica sovranazionale europea, che dal punto di vista della pura rappresentanza democratica, e quindi del valore che si dà al voto del cittadino e al suo coinvolgimento nelle questioni europee. L’organo preposto a rappresentare direttamente i cittadini europei è il Parlamento Europeo. Non si può pensare di parlare del legame tra i popoli d’Europa e l’Unione senza discutere del ruolo e delle funzioni di questa istituzione, del posto che occupa nella catena decisionale e delle possibilità che si aprono per il processo di democratizzazione dell’Unione Europea.
L’evoluzione del Parlamento Europeo: la sua storia e le sue funzioni
Già nel 1948, al Congresso dell’Aia, i leaders europei immaginarono la creazione di un’assemblea eletta direttamente. Nel 1960 venne redatta una Convenzione per le elezioni europee, per elevare i principi della rappresentanza politica al livello sovranazionale con l’obiettivo di “[…] “fare gli europei”, attivando il processo di socializzazione dei cittadini con le istituzioni comunitarie” e di “sostenere la formazione dell’identità politico-ideologica della CEE”. L’attuale Parlamento Europeo nacque come Assemblea comune della CECA e si riunì per la prima volta il 10 settembre 1952. Per l’elezione diretta dei rappresentanti, i cittadini europei hanno dovuto attendere il 1979, anno in cui la decisione del 1976 del Consiglio Europeo ha prodotto le prime elezioni europee a suffragio universale diretto. Il principale ostacolo all’utilizzo dell’elezione diretta è stata l’ostilità delle classi dirigenti nazionali al progetto, una dinamica ricorrente del processo di integrazione e delle sue battute di arresto. Oggi il PE occupa un ruolo maggiormente rilevante rispetto al passato, ma è lontano da equilibrare e controbilanciare i poteri della Commissione e, soprattutto, del Consiglio. Prima delle elezioni 2019, l’assemblea aveva raggiunto il numero massimo di membri: 751 parlamentari. Con l’abbandono del Regno Unito, questo numero è passato a 705 per la legislatura corrente. Il Parlamento esercita il potere legislativo in coordinamento con il Consiglio Europeo: la procedura legislativa ordinaria prevede le due istituzioni come co-decisori, ma su alcune questioni il Parlamento ha funzione meramente consultiva (ad esempio: sulla fiscalità). Anche il potere di bilancio è condiviso con il Consiglio, mentre il potere di controllo sulle attività della Commissione e del Consiglio è prerogativa del solo PE. Il quadro istituzionale, però, non riflette i rapporti reali tra i principali organi della UE. La prevalenza del metodo intergovernativo imperniato sul Consiglio e, inevitabilmente, sulle divergenze tra i leaders dei singoli paesi europei, ha relegato il Parlamento ad un ruolo di secondo piano. Il processo di trasferimento di competenze e capacità decisionale all’assemblea elettiva è fermo da decenni. Durante la crisi del Covid-19, il Parlamento ha riscoperto la possibilità di influire da protagonista sulle politiche comunitarie, offrendo il proprio appoggio alla Commissione nel progetto del Recovery Plan, presentando proposte e, soprattutto, dimostrando unità e coerenza nello scegliere le proprie posizioni. Il contrasto con le lunghissime discussioni e contrattazioni in sede di Consiglio, che hanno tenuto impegnati i capi di stato e di governo per mesi, ha riacceso i riflettori sull’importante ruolo ricoperto dall’assemblea parlamentare. Ma ha anche dimostrato ai cittadini europei che le decisioni comunitarie possono essere rese più comprensibili, il processo per raggiungerle più lineare ed immediato. Inoltre, ha evidenziato come le fratture che esistono tra gli stati membri, si riflettano a malapena sulle discussioni dei deputati, in primo luogo interessati a trovare una soluzione comune e comunitaria alle problematiche che interessano tutta l’Unione. L’allontanamento progressivo dei cittadini dall’idea di appartenenza all’Unione Europea è oramai un fenomeno assodato: il fatto che il Parlamento possa fungere da argine alla perdita di consenso si rivelerà fondamentale per la prosecuzione del processo di integrazione. Le stesse dinamiche politiche interne al PE mostrano una capacità di collaborazione che fa ben sperare nel rafforzamento del legame comunitario. Il comportamento elettorale dei cittadini tende a premiare quasi ovunque i partiti maggiormente europeisti, che a loro volta abbandonano le faglie di divisione presenti a livello nazionale e si concentrano sulle sfide per l’Europa, creando un nuovo livello di confronto politico.
Come e perché democratizzare l’Europa?
La democratizzazione delle istituzioni europee passa dal rafforzamento del Parlamento Europeo. Non ci può essere un panorama politico democratico a livello sovranazionale, se i cittadini percepiscono gli appuntamenti elettorali come elezioni di serie b, se i partiti politici non hanno incentivo a candidare i migliori esponenti ai seggi europei e se le decisioni dell’Unione, sempre più importanti per la qualità della nostra vita in un contesto globale in evoluzione, sono dipendenti dalla benevolenza dei capi di stato e di governo dei singoli stati. Ma gli stati nazionali paiono restii a ridiscutere i trattati e l’attuale distribuzione di potere a livello comunitario. Democratizzare l’Europa avrebbe due importanti conseguenze, tra loro dipendenti. La prima sarebbe quella di riallacciare un legame sempre più lasso con i cittadini, valorizzando la loro scelta esattamente come la si valorizza a livello nazionale, rendendoli partecipi e pienamente rappresentati dalle scelte di Bruxelles, ma anche responsabilizzandoli verso le sfide e le questioni che costellano il cammino dell’Unione Europea. La seconda sarebbe quella di fornire un nuovo impulso all’integrazione, conferendo maggiore importanza al metodo comunitario, relegando in secondo piano la dinamica distruttiva degli attriti tra stati membri che oggi dominano la politica dell’Unione molto più di quanto non facciano le questioni di interesse comune. Ne uscirebbe un’Unione più democratica, più vicina ai cittadini, più integrata e più solida. Come si potrebbe mettere in atto tale progetto, alla luce del fatto che la revisione dei Trattati comunitari è soggetta all’approvazione di tutti gli stati membri? La questione non è semplice. L’idea di “Europa a due velocità”, pensata per aggirare le ritrosie dei paesi più ostili al proseguimento dell’integrazione, ci viene incontro anche in questa istanza. Un gruppo di economisti, giuristi e politologi guidati da Thomas Piketty ha focalizzato l’attenzione sull’Eurozona, esempio di per sé di un differente livello di integrazione. La proposta è quella di creare un’Assemblea parlamentare per l’Eurozona: negli ultimi anni i paesi membri dell’area euro hanno di fatto approvato modifiche ai trattati, riguardanti la sola Eurozona, come nel caso del Meccanismo Europeo di Stabilità. Piketty e i suoi collaboratori propongono si faccia lo stesso, per “radicare le forze democratiche europee al centro della governance dell’Eurozona”, riunendole in un’Assemblea che “dispone di poteri autentici, potere legislativo, potere di controllo”. Nel concreto, si tratterebbe di un’Assemblea di massimo 400 membri, designati per i quattro quinti dai parlamenti nazionali (tenendo conto delle proporzioni dei gruppi parlamentari) e per un quinto da rappresentanti del Parlamento Europeo. Le funzioni che l’Assemblea svolgerebbe sarebbero quelle di cooperare con il PE e detenere il potere legislativo e di bilancio congiuntamente e in maniera paritaria all’Eurogruppo. Gli altri stati membri potrebbero diventare membri alla fine del periodo di deroga all’adozione dell’Euro e, quindi, nel momento dell’entrata nell’Eurozona. Questo progetto di trattato è ambizioso ma dotato di un pregio fondamentale: quello dell’immediata fattibilità, allo stato attuale delle modalità di modifica dei trattati. Data la difficoltà di imbastire un percorso di modifica degli accordi che coinvolga l’intera Unione, questa potrebbe essere un’alternativa da prendere in considerazione. Soprattutto se si considera che i benefici dell’esistenza di tale Assemblea potrebbero convincere le opinioni pubbliche a premere sui governi affinché aderiscano al progetto, in particolare nei paesi più euroscettici.
A parere di chi scrive, democratizzare l’Europa e il suo panorama istituzionale è un passo ineludibile per l’integrazione europea, sul quale cittadini e decisori politici dovranno riflettere a lungo. Recuperando l’entusiasmo e il coinvolgimento dei cittadini nel progetto europeo e, al contempo, traslando i principi della rappresentanza politica al un livello decisorio comunitario, si permetterà agli europei di incidere attivamente, con il proprio voto, sulle questioni europee e globali.
Riccardo Raspanti
CIVITAS EUROPA
Note: - Daniele Pasquinucci, Uniti dal voto? Storia delle elezioni europee 1948-2009, FrancoAngeli, 2013, p. 21 - ibidem, pp. 104-118, pp. 131-137 - Consiglio Europeo, Decisione del Consiglio Europeo 2011/199/UE, che modifica l’art.136 TFUE nei Paesi la cui moneta è l’Euro, 2011 - S. Hennette, T. Piketty, G. Sacriste, A. Vauchez, Democratizzare l’Europa! Per un Trattato di democratizzazione dell’Europa, Editions du Seuil, 2017, p. 31 - ibidem, art. 4 - “T-Dem”, pp. 62-63 - ibidem, art. 3 - “T-Dem”, p. 62; Titolo III, pp. 66-85
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