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Il Confronto: due prospettive sulla storia di Israele e Palestina

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L'ennesimo capitolo della guerra israelo-palestinese è difficile da interpretare. Propaganda, fatti ed opinioni si mescolano, polarizzando l'opinione pubblica, riducendo un conflitto sfaccettato e complesso ad una battaglia tra il bene ed il male. Civitas Europa ha deciso di riportare in forma di articolo i frutti delle nostre discussioni, rielaborate dagli autori stessi. In queste pagine, Alessandro Verdoliva e Omar Yazidi ricostruiscono brevemente la storia delle relazioni tra palestinesi ed israeliani. Le analisi assumono prospettive differenti, ma hanno elementi di complementarietà, quando tentano di districare la matassa accumulatasi in decenni e decenni di conflitto.

 

Alessandro: Di tappe ne traggo principalmente 4: il 1948, il 1967, il 1973 e il 2005.

La tappa storica originaria nelle relazioni arabo-israeliane è il 15 maggio del 1948, anno in cui inizia tutto. L’attuale situazione è sancita da due movimenti storici che si sono succeduti e accavallati per un periodo. Si tratta della questione Arabo-israeliana in primis a cui si è succeduta la questione israelo-palestinese. Sono due dinamiche molto differenti. L’origine si individua nella mancata dichiarazione di indipendenza della Palestina. Contrariamente a quanto spesso obiettato, alla Palestina non fu vietato di esistere, tutt’altro.

Alcuni fanno risalire le problematiche a prima del 1948 per trovare una legittimazione pseudo-storica che ha scarsi fondamenti nella realtà. I mandati anglo-francesi hanno creato ex novo degli Stati che prima non esistevano neanche come collettività politiche. Ergo, la data più importante è il 1948, data di nascita di Israele nonché la data in cui la Palestina non si costituisce come Stato. Con la Risoluzione 181 l’ONU diede ad entrambi, israeliti e arabi, la possibilità di costituirsi indipendentemente come due entità statuali in quel dato territorio. Gli arabi crearono una coalizione che aggredì Israele credendo di vincere. Israele, vincendo una guerra difensiva, acquisì de facto e de iure porzioni di territorio aggiuntive. Al termine delle ostilità, i territori palestinesi di Gaza e Cisgiordania vennero occupati da Egitto e Giordania I due stati fecero tabula rasa degli insediamenti ebraici e assorbirono completamente i territori palestinesi. La questione riguardava ancora meramente la “distruzione di Israele”.

Nel 1967 gli arabi, nuovamente convinti di vincere, creano una coalizione contro Israele e chiudono lo stretto di Tiran. Israele sbaraglia, con un attacco preventivo, tutta la coalizione e occupa il Sinai, il Golan, Gaza e la Cisgiordania.

Nel 1973 inizia il processo che creerà la contrapposizione israelo-palestinese. La guerra egiziana contro Israele dello Yom Kippur fu una disfatta militare calcolata per fini squisitamente politici: l’Egitto ha vinto riuscendo nell’intento di ottenere l’attenzione internazionale e negoziare (a Camp David nel 1978) termini di convivenza con Israele, riavendo indietro il Sinai. Camp David trasforma l’Egitto da leader del movimento arabo contro il sionismo in fedele partner israeliano. Questo pone una pietra tombale sulla questione arabo-israeliana.

Proprio la morte del pan-arabismo, cioè la questione arabo-israeliana, fa nascere la questione palestinese. All’aumentare delle sconfitte militari arabe, aumenta l’accondiscendenza araba nei confronti di Israele. All’aumentare delle sconfitte militari aumenta il ricorso a strumenti terroristici. All’aumentare dell’accondiscendenza araba diminuisce la forza propulsiva del pan-arabismo e aumenta quella dell’Islam come filo conduttore della questione palestinese, che mai prima d’ora aveva avuto connotazioni jihadiste, bensì laiche-nazionali.

Ultima tappa è il 2005, anno in cui Israele rinuncia totalmente al controllo di Gaza (nonostante gli accordi di Oslo) in segno di distensione ed evacua tutta la propria popolazione che prima vi abitava insieme agli arabi. All’elezioni tenute nel 2006 dall’ANP vince Hamas a Gaza e al-Fatah in Cisgiordania. Ad oggi non esiste un unico governo palestinese e visto, che Hamas cresce nei sondaggi, l’Autorità Nazionale Palestinese è restia a procedere a nuove elezioni.

La dinamica odierna rispecchia quelle del 1948: c’è la convinzione della parte araba di essere stati derubati della terra, la non accettazione dell’esistenza dello stato di Israele, la convinzione di poter vincere avvalendosi di qualsiasi mezzo disponibile, incluso il terrorismo. Le motivazioni di allora sono identiche alle motivazioni di oggi, motivo per cui la belligeranza non è terminata né tanto meno terminerà nell’immediato.

 

Omar: Come dimostrano gli eventi storici, la mescolanza di etnie, le continue migrazioni, hanno reso impossibile assegnare il diritto alla terra ad uno o all’altro popolo. Allo stesso tempo, al momento della spartizione anglosassone del 1917 guidata dal ministro degli Esteri britannico Balfour, sul territorio della Palestina risiedeva una stragrande maggioranza di persone di etnia araba e/o di religione musulmana.

Il primo evento rilevante si colloca il 2 novembre 1917. Il governo britannico depose una breve, ma assai significativa, dichiarazione su iniziativa del ministro degli Esteri Arthur James Balfour, in cui si affermava la necessità di costituire un "focolare nazionale" per il popolo ebraico in Palestina. Da quel giorno, fino alla crisi di Suez del 1956, la presenza dei britannici in Medio Oriente sconvolgerà gli equilibri del territorio, fondandosi sulla collaborazione tra il governo di Londra e il movimento sionista.

La nascita dello Stato di Israele, nel 1948, è riconducibile a questa decisione, le cui ripercussioni si manifestano ancora oggi. Se è vero che i primi ad attaccare lo Stato di Israele siano stati proprio i paesi facenti parte della Lega Araba, che non accettarono la dichiarazione del 1948, è anche vero che le vicende successive hanno visto la continua giustificazione delle azioni israeliane da parte occidentale. Lo stato di Israele ha potuto godere della collaborazione militare di una potenza mondiale come gli Stati Uniti.

Nonostante la Dichiarazione Balfour non fosse condivisa da coloro che avevano più voce in capitolo, ovvero i paesi interessati dall'esodo ebraico, la decisione venne presa unilateralmente. Da qualche parte il sofferente popolo ebraico andava collocato. Una causa sacrosanta, che ha mancato continuativamente di considerare chi già abitava quei luoghi come avente voce in capitolo, almeno sulle modalità della convivenza.

Il secondo evento che voglio trattare è collocato nel dicembre del 2017, ad ormai cento anni dalla Dichiarazione Balfour. Ciò che è accaduto ha reso evidente come la situazione fosse disperatamente incontrovertibile, e quindi irrisolvibile. L’Assemblea Generale dell'ONU è chiamata a prendere una decisione storica: Gerusalemme deve essere riconosciuta come capitale di Israele? Il presidente statunitense Donald Trump aveva deciso, infatti di spostare l’ambasciata del proprio paese da Tel Aviv a Gerusalemme. L'Assemblea ONU bocciò in toto la decisione con 128 paesi contrari (tra cui l'Italia) su 193 votanti.

La votazione che seguì ebbe un chiaro esito, che non venne per nulla rispettato. Allo stesso tempo, però, ciò servì per rivitalizzare la soluzione dei due stati e delegittimare l’occupazione israeliana (almeno, di Gerusalemme Est.). Il primo ministro israeliano Netanyahu commentò, alla vigilia del voto, in pieno disconoscimento del ruolo delle Nazioni Unite: "Qualunque sia l'esito, quella è la nostra capitale".

Votarono a favore Guatemala, Honduras, Isole Marshall, Micronesia, Nauru, Palau, Togo, Israele e Stati Uniti. Questi ultimi utilizzarono il proprio potere di veto, in sede di Consiglio di Sicurezza, per bloccare la decisione dell’Assemblea, che ribadì la propria contrarietà allo spostamento e sottolineò il pesante attacco portato dagli USA alla legittimità delle Nazioni Unite.

Questa decisione, a mio avviso, portò alla situazione odierna: la causa palestinese è appoggiata da una larga parte della comunità internazionale, soprattutto alla luce delle azioni israeliane. Ma l'ONU ha cessato, nei fatti, il suo ruolo di mediatore del consesso internazionale, in attesa di una riforma che latita da tempo. Gli USA, poi, si sono schierati apertamente e senza indugi, abbandonando ogni ambiguità sulla possibilità di fungere da intermediari tra le parti.

Sia chiaro, i due elencati non sono certo gli unici eventi degni di nota nella questione israelo-palestinese. Sono però di particolare interesse, perchè se il primo sancisce l'inizio di tutta la vicenda, il secondo rende palese come il volere della maggioranza della comunità internazionale possa significare ben poco, nei fatti. Sono bastati due paesi, infatti, per ribaltare la decisione, aprendo la questione dell’integrità delle Nazioni Unite e dell’attuale sistema di relazioni internazionali.

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