Il bisogno di una narrazione europea
C’è una sensazione di abbandono da parte dell’UE nei confronti dell’Italia. E’ una sensazione che sembra trasversalmente condivisa nell’opinione pubblica. Il “no” tassativo ai Coronabond enunciato da alcuni membri dell’Unione, poi confermato dalla voce della stessa Presidente della Commissione Von Der Leyen e successivamente smentito a livello ufficiale, ha sicuramente fatto riemergere l’ormai storica frattura tra i Paesi del Nord e quelli Sud. Almeno per quanto riguarda la percezione di una parte consistente della Popolazione, coloro che siedono a Bruxelles sono incapaci di provare un minimo di empatia nei confronti della crisi economica e del malessere sociale che la Pandemia in corso rischia di causare nella Penisola. È come se dal Nord non potesse provenire altro che l’aria gelida prodotta da un rigorismo ottuso e non in grado di fare una lettura complessiva dell’emergenza e delle sue conseguenze.
In parole povere, sembra evidente che per molti l’Europa appaia come una specie di entità astratta composta da un gruppo ristretto di individui che non riescono a provare un minimo di pietas humanae nei confronti delle vittime di questa emergenza. Se poi le nostre richieste finiscono per piombare contro un muro di resistenze, è molto probabile che questa percezione si rafforzi nel tempo. Già in precedenza abbiamo accennato quali fossero, a nostro avviso, gli elementi che rafforzano l’euroscetticismo di questi giorni. Si tratta di una miscela nata dalla frustrazione generata dall’emergenza e rafforzata da un discorso politico che funge da combustibile per far esplodere la miccia del malessere.
La partita si gioca sul terreno della narrazione
Il dato interessante è che nella dialettica venutasi a formare, l’emotività si sovrappone ai dati reali e la partita si gioca, tutta per intera, sul terreno della narrazione. È qui dove la classe politica europea soccombe dinanzi alla mastodontica macchina propagandistica di Pechino e Mosca. In effetti, se l’Unione Europea manda degli aiuti si tende a rispondere che fa in ritardo, se invece si discute sulla quantità degli aiuti erogati, essi non saranno mai sufficienti e si casca nella trappola di sofismi che tendono a non finire più. Anche se in questo preciso istante venisse approvata l’emissione dei così controversi Coronabond, non sarà mai abbastanza. Dal lato opposto vediamo come il Cremlino e Pechino, con molto di meno, hanno riscosso il consenso e i ringraziamenti di larga parte degli italiani. Dalle lodi a Putin per i così pochi contagi – e questo a prescindere dell’affidabilità dei dati che possano provenire da Mosca – fino ad applaudire la Cina dimenticando, in così poco tempo, che è stato proprio il regime di Xi a tenere occulta la pericolosità di un virus che gli era scappato dalle mani.
Notiamo così che, a livello dell’opinione pubblica, gli aiuti che effettivamente stanno arrivando dall’Unione Europea non hanno avuto una risonanza che permettesse loro di superare il silenzio assordante di quei primi giorni, il quale è stato spezzato da qualcosa di peggio, nonché da quella goffa uscita di Christine Lagarde che, dimostrando una totale mancanza di sensibilità politica era riuscita a mandare giù di colpo l’Eurobarometro. A rimediare la bufera di quei primi giorni, e ce lo ricordiamo bene, ci ha pensato la stessa Ursula Von der Leyen, la quale dopo aver annunciato la massima flessibilità per l’Italia, ha provveduto a stanziare 37 miliardi per affrontare le ricadute economiche dell’emergenza, per poi sbloccare – attraverso la Commissione – l’import delle mascherine da Parigi e Berlino. Tutto questo ha risollevato l’entusiasmo di chi è consapevole della necessità di un’Europa unita in questi momenti così difficili. E poi ci sono anche coloro che ci tengono a distinguere le scelte dei singoli Stati dalle azioni delle Istituzioni comunitarie. Ma rimane una percentuale molto consistente della popolazione per la quale certe azioni non bastano a scongiurare la fine dell’UE. Ipotesi, questa, che sta prendendo sempre più piede tra gli elettori.
Vuoti e lacune: spie di una narrazione assente.
Sembra così che l’inutilità dell’Unione Europea sia un’opinione preimpostata che può anche prescindere dal dibattito e dall’argomento stesso. La stessa dinamica si riproduce, in senso opposto, nel caso di Pechino e Mosca. Il punto, come abbiamo accennato prima, non riguarda tanto la quantità o la qualità degli aiuti erogati quanto la narrazione che li accompagna. Ritorniamo così al problema centrale dell’Unione Europea che può essere identificato nelle gravi lacune comunicative che svelano una mancanza di assertività oppure, nel peggiore dei casi, l’assenza di lungimiranza politica di alcuni rappresentanti.
È da alcuni anni che questo problema si presenta ma nei momenti di emergenza tende a evidenziarsi molto di più. Per fare un esempio recente possiamo riferirci alle dichiarazioni in cui Ursula Von der Leyen nega ogni possibilità per i Coronabond affermando che non si sta lavorando su quella strada. Questa affermazione ha deluso le speranze di condivisione del debito su cui poggia la proposta di almeno 9 Stati membri. Già in precedenza il Cancelliere tedesco Angela Merkel aveva dichiarato che, pur comprendendo la dimensione della situazione, il tema non fosse all’ordine del giorno. Evidentemente, non sono bastate le pressioni del governo italiano per ammorbidire la linea di alcuni settori. Una linea che si svela molto più oltranzista dalla voce del Ministro olandese Hoekstra, il quale ha chiesto alla Commissione di avviare un’indagine per sapere il perché Paesi come l’Italia e la Spagna dicono di non avere abbastanza margine per fronteggiare l’emergenza. Questo tipo di espressioni non giovano di certo al raggiungimento di una soluzione condivisa né, tanto meno, ad attenuare il crescente euroscetticismo nella nostra Penisola.
Il bisogno di nuovi processi comunicazionali.
Allo stesso tempo, i dati positivi hanno una risonanza molto minore propri perché l’Europa sembra aver sottovalutato gli strumenti di diffusione di massa che avvicinano, ora più che mai, le istituzioni alle persone. Le stesse dinamiche inerenti al dibattito interno e ai meccanismi con cui si cerca di portare a compimento determinate politiche, se non vengono affiancati da processi comunicazionali capaci di collegare l’agire delle istituzioni all’opinione pubblica, finiscono per chiudere i nostri rappresentanti in una logica autoreferenziale che li allontana sempre di più dalla realtà sociale europea. È un’autoreferenzialità tale per cui, neppure in momenti di crisi, i rappresentanti politici riescono più a connettere con l’opinione pubblica.
In ogni caso, se la classe politica che compone le rappresentanze dell’UE non si dimostra in grado di cogliere i mutamenti e le sensibilità che essi comportano, essa rischia di essere travolta – con tutte le sue strutture – dall'ondata di una crisi che è già andata oltre l’ambito economico per toccare sfere più delicate dell’esistenza sociale. Di fronte alla propagazione di una pandemia che pone i cittadini di fronte al pericolo della morte, e che aumenta l’incertezza verso il futuro, bisogna comprendere coloro che non si dimostrano pazienti nei confronti del dubbio, dell’indecisione o del rigore. E non c’è proprio la pazienza perché i tempi che si annunciano sono già difficili, se poi questi ultimi non venissero accompagnati da nuove prospettive, il sogno europeo si trasformerebbe, da lì a poco, nell'incubo dei nazionalismi.
Il miraggio della semplificazione.
Prima di chiudere con questa riflessione condivisa, bisogna sottolineare alcune ovvietà come l’inesistenza di un’entità monolitica chiamata Europa e in grado di prendere decisioni come un unicum. La composizione in 27 Stati sovrani è un limite nel processo decisionale che dovrebbe essere chiaro a tutti. Se poi, come possiamo notare, alcuni Stati si comportano in base al proprio egoismo, non è un problema da attribuire all’UE ma alla sua attuale struttura. Si presenta così un paradosso da parte dei critici dato che, proprio mentre si difendono i confini, si esige dall’Europa di esercitare la sovranità che non le vuole essere trasferita. Si finisce, dunque, per sperare che l’UE eserciti delle funzioni amministrative a pieno titolo senza essere un governo. Vediamo come questa critica, ogni volta che si confronta con un po’ di coerenza, finisce per crollare su sé stessa.
Un altro elemento che emerge è il discorso di alcuni ministri o rappresentanti che si rendono sempre più antipatici agli occhi di un’opinione pubblica ferita nelle sue certezze. Benché tali discorsi potrebbero essere risparmiati dal mittente, e che alcune concezioni sulla politica, sui diritti sociali e sul ruolo dello Stato nella vita dell’individuo potrebbero risultare alquanto divisive. Sebbene sia auspicabile una maggior solidarietà tra i membri dell’UE, lo stesso concetto di solidarietà può avere un significato diverso da uno Stato all’altro. Che poi le dichiarazioni di un singolo Stato, o di un gruppo di Stati vengano attribuite all’Europa, significherebbe assumere che l’Europa siano loro e, per tanto, svalutare la presenza di un consistente gruppo di Stati composto da Portogallo, Spagna, Francia, Italia e altri.
Le semplificazioni che si vedono dall’esterno, dunque, tendono a rompersi ogni volta che si scopre la complessità della realtà in oggetto.
Nel caso europeo ci si scontra con un pluralismo che rischia di rendere sterile l’agire di un’entità che non ostenta un potere tale di andare oltre la somma delle sue parti. E fin quando sarà così, anche se il mondo crollerà a pezzi, bisognerà riunire tutti e 27 per poter prendere una decisione. Nel frattempo, quella che chiamiamo Europa, non è un’entità accentrata, ma è piuttosto un tavolo composto da parti molto eterogenee e, allo stesso tempo, attraversato da diversi cleavages che lo dividono. Il primo è quello che separa i Paesi del Nord da quelli del Sud. Intorno a questa frattura si ricreano degli stereotipi che, in questi giorni, sono delle profezie che si autoavverano. Ad es., l’ispirazione all’etica calvinista che incentiva il rigore del Nord, che si contrappone al lassismo molto “cattolico” del Sud. A questa frattura si affianca quella tra le democrazie liberali dell’Europa occidentale e quelle, sempre più illiberali, dell’Europa Orientale che, come lo ha sta dimostrando Orban, appaiono sempre più distanti.
Superare pluralismo e frammentazione per elaborare una nuova narrazione.
Non si tratta di giustificare o meno l’operato dell’UE in quanto entità, ma di osservare con attenzione il pluralismo e la frammentazione ai quali la sua struttura viene sottoposta. Si verifica così una dialettica costante tra gli egoismi nazionali e la dimensione comunitaria.
Quando effettuiamo la separazione di questi due elementi (egoismo nazionale e dimensione comunitaria), notiamo che l’ipotesi di abbandonare l’UE significherebbe alzarsi dal tavolo in cui si pone un freno alle derive nazionalistiche e si cerca di incentivare la cooperazione.
Questo non significa dover accettare pluralismo e frammentazione in quanto condizioni immutabili nella struttura dell’UE. Tali condizioni sono e saranno figlie di continue esperienze attraverso le quali ogni Stato-nazione o gruppo di Stati ha ricreato i propri valori. Sotto questi ultimi ci sono poi le categorie attraverso le quali ciascuno ha costruito la propria narrazione. È normale che questo assetto rimanga invariato in tempi ordinari, ma quando accadono eventi straordinari come il diffondersi di un virus che mette in discussione ogni nostro punto di riferimento, gli Stati sono costretti a ripensare le loro differenze in base a una nuova esperienza che accomuna tutti e il cui superamento passa attraverso delle risposte condivise.
In questo passaggio così difficile per l’Europa e per il resto del mondo, la necessità stessa di risollevarci dall’emergenza ci impone il dovere di elaborare, in base ai mutamenti in corso, una narrazione europea. Sappiamo bene che la narrazione è sempre stata la fonte di legittimità nella costruzione di nuove entità politiche o nella conservazione di quelle preesistenti. Per questo motivo, bisogna ammettere che, senza una narrazione condivisa, l’UE rischia di rimanere una costruzione fragile, guidata da interessi immediati e soggetta a una continua minaccia di dissoluzione.
Se, dunque, gli Stati europei non si mostrano in grado di superare le loro prospettive autoreferenziali per creare una narrazione comune attraverso la quale si possa far fronte all’emergenza attuale (e la crisi che verrà subito dopo di essa), si rischia di perdere un appuntamento definitivo con la storia.
Dr. Estefano Soler
Civitas Europa - Divisione Relazioni Internazionali
fonti:
I valori degli europei e degli italiani negli anni Novanta, a cura di Giuseppe Capraro, Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale, Università degli studi di Trento
United Europe and Eucledian Pluralism On the Anthropological Paradox of Contemporary EU Legal Experience, Mario Ricca, UNIO (EU Law Journal)
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