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Come sono andate le elezioni europee?

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Europee 2024. Elezioni senza un vincitore: rallenta la transizione

I cittadini europei hanno scelto, tra il 6 e 9 giugno, i propri rappresentanti al Parlamento Europeo. La proporzionalità del sistema elettorale e la complessità delle dinamiche tra i gruppi parlamentari rendono difficile l’individuazione di un singolo vincitore. Per comprendere un po’ meglio queste elezioni si deve guardare al quadro generale dell’Unione, ma anche agli equilibri politici dei suoi stati membri.

Anche questa volta il Partito Popolare Europeo (Ppe) resta l’ago della bilancia. Smentite, infatti, l'ipotesi della cosiddetta “onda nera” che si temeva generasse una Commissione di destra. Il Ppe si profila come perno di una nuova “maggioranza Ursula”, come nella scorsa legislatura, nonostante le frizioni emerse con i Socialisti e Democratici (S&D) sulla designazione del Presidente del Consiglio Europeo e l’attivismo di Giorgia Meloni, che spera di capitalizzare sulla debolezza elettorale degli altri leader.

In calo i verdi, lieve crescita per i conservatori I due gruppi ridimensionati, rispetto al 2019, sono i Verdi europei e la federazione di Renew Europe. I primi, danneggiati dal calo di consensi dei Grünen tedeschi; i secondi, dalla flessione della popolarità di Emmanuel Macron.In crescita il gruppo dei Riformisti e Conservatori (Ecr), dove spicca Fratelli d’Italia, e Identità e Democrazia (Id), guidato da Rassemblement National (Rn). I due gruppi hanno manifestato l’intenzione di unire le forze per proporre un candidato comune alla presidenza della Commissione, pur mantenendo l’esclusione di Alternative für Deutschland (Afd) dalla loro alleanza.

Indietreggia la transizione? Il fatto che la coalizione in appoggio alla Commissione sarà la stessa, non significa che l’avanzata delle destre nei consensi sia senza conseguenze. La composizione del nuovo Parlamento mette infatti in discussione il Green Deal, politica di cui la Von der Leyen si era fatta portavoce e su cui ha in parte ritrattato, alla luce della crisi del costo dell’energia (e dei sondaggi). Un cedimento è già avvenuto, con il dietrofront sulla Nature Restoration Law, a seguito delle proteste degli agricoltori. La legge è poi stata salvata in extremis all’interno del Consiglio dell’Unione Europea, un rivolgimento di cui si sono resi protagonisti i ministri competenti di Slovacchia e Austria.Se è impensabile cestinare l’intera politica climatica, dato che è già in moto da diversi anni, è invece probabile che gli obiettivi dell’Unione nell’abbattimento delle emissioni vengano ridimensionati e si introducano forme di “neutralità tecnologica” della transizione. In parole povere, la Commissione potrebbe assecondare le richieste più conservatrici, abbandonando l’idea di un’agenda climatica fortemente incentrata sull’energia rinnovabile. Questo avrebbe l’innegabile pregio di abbattere i costi della transizione, almeno nell’immediato.

Cambia il Parlamento, l'urgenza resta Sul lungo periodo, però, la dispersione di risorse dal settore delle rinnovabili potrebbe compromettere irrimediabilmente il raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica: l’Unione e i suoi stati membri finirebbero su un percorso di investimento non adatto a contrastare il cambiamento climatico e i suoi devastanti effetti, trovandosi, in futuro, a dovere adottare misure dai costi ben più elevati (e dalla riuscita meno probabile) per tutelare cittadini, ecosistemi ed economia.

Europee, un trampolino di consensi Guardando in casa, le due vincitrici delle elezioni sono Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Come spesso avviene, le elezioni europee sono utilizzate come termometro politico per sondare l’opinione pubblica: quelle di questo giugno hanno definito con precisione le rispettive dinamiche interne alla maggioranza e all’opposizione.Inoltre, Fratelli d’Italia si trova ora alla guida della delegazione più numerosa dentro Ecr, così come il Partito Democratico all’interno dei Socialisti e democratici (S&D), dato il crollo della Spd tedesca.

Quale «Unione» dopo l'asse franco-tedesco? Infine, dal punto di vista intergovernativo, le elezioni hanno compromesso, almeno in parte, la collaborazione sull’asse franco-tedesco, storicamente il principale motore dell’integrazione europea. Il presidente Macron e il cancelliere Scholz escono indeboliti da questa tornata elettorale, sorpassati nei consensi dall’estrema destra dei rispettivi paesi. E se in Germania l’ascesa di AfD è stata limitata dalla ripresa dei cristiano-democratici, in Francia Marine Le Pen ha strada libera verso il controllo dell’Assemblea Nazionale, facilitata anche dall’inedita possibilità di un’alleanza elettorale con Les Républicains, disposti a rinunciare al “cordone repubblicano” per recuperare consensi.

Un equilibrio precario In questo contesto, gli equilibri di potere all’interno del Consiglio dell’Unione Europea e del Consiglio Europeo sono quantomeno fragili. Un pessimo auspicio, data la gravità delle questioni con cui l’Unione si trova ancora a fare i conti. Forse, questa è l’occasione giusta per ampliare le prerogative del Parlamento e della Commissione a scapito degli stati membri, realizzando davvero quel principio di democratizzazione dell’Europa che le destre sovraniste utilizzano strumentalmente nei loro discorsi.

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