Recovery Fund, in attesa del vertice del 6 maggio.

Nei prossimi giorni la Commissione Europea presenterà al Parlamento e al Consiglio Europeo il progetto relativo al cosiddetto Recovery Fund, il fondo che dovrà servire a generare le risorse necessarie alla riattivazione delle economie piegate dalla pandemia Covid-19. Per l’Unione si avvicina un punto di svolta fondamentale sul fronte della gestione emergenziale: diversi paesi membri, primo fra tutti l’Italia, stanno sperimentando difficoltà a reperire le risorse finanziare necessarie ad affrontare l’emergenza. Il ricorso esclusivo al’emissione di titoli di debito nazionale non pare essere in grado di assicurare il sostegno richiesto dal sistema produttivo in difficoltà e dai lavoratori bloccati.

Le prospettive del Recovery Fund

Si apre uno scenario potenzialmente positivo per il progetto d’integrazione europeo: la proposta portata in sede UE dal governo spagnolo, infatti, prevede una gestione comunitaria dei fondi reperiti attraverso l’emissione di titoli comuni. Sarebbero quindi la Commissione e il Parlamento a indirizzare le risorse del Recovery Fund. Secondo la Spagna, la dotazione necessaria dovrebbe essere di circa 1500 miliardi di euro.La scadenza per presentare la proposta è stata fissata al 6 maggio, data in cui il Consiglio Europeo analizzerà e discuterà il progetto, dopo quasi due mesi di contrasti tra gli stati membri sulla questione.

La proposta Spagnola

La Spagna ha avanzato la possibilità di creare dei titoli perpetui, ovvero titoli che pagherebbero al portatore i soli interessi previsti, senza disporre il riscatto del capitale. Questa caratteristica ha una forte valenza politica: il messaggio che manderebbero agli investitori, ma anche ai cittadini, sarebbe quello di un rafforzamento perpetuo del processo di integrazione politica ed economica dell’Unione.

I titoli sarebbero legati al bilancio dell’Unione Europea, che deve essere necessariamente incrementato per garantire il pagamento di tali interessi nel tempo. Allo stato attuale, infatti, il bilancio è composto principalmente dai contributi dei paesi membri per circa l’1% del reddito nazionale lordo, insieme alle entrate derivanti dai dazi doganali imposti su alcune merci in entrata e quelle provenienti dalle imposte applicate sugli stipendi dei funzionari dell’Unione. Saranno gli stati membri a finanziare l’incremento del bilancio, aumentando la percentuale di reddito lordo con cui contribuiscono. L’ipotesi spagnola apre anche alla possibilità di emancipare l’Unione dai soli contributi dei membri, attraverso l’istituzione di una single market tax e una carbon tax che assicurino ulteriori entrate alla Commissione e al Parlamento.

E’ importante sottolineare, che le risorse del Recovery indirizzate ai paesi bisognosi non sono prestiti, ma trasferimenti. Quindi si differenziano, ad esempio, dai prestiti erogati dal Meccanismo Europeo di Stabilità (MES).

L’introduzione dei cosiddetti recovery bonds pone una questione fondamentale: chi decide come spendere le risorse del fondo? Quale margine di discrezionalità può essere affidato agli stati membri?

Legare il Recovery Fund al bilancio comunitario, e quindi al controllo diretto della Commissione Europea e del Parlamento Europeo, costituisce una garanzia di obiettività ed efficacia nell’indirizzare le risorse. I soldi verrebbero erogati sulla base di progetti concreti e puntuali presentati alla Commissione.

Per avere la certezza che i fondi vengano destinati a ciò per cui sono stati concepiti, cioè il contrasto all’emergenza sanitaria e al sostegno alle economie europee, la collaborazione tra le istituzioni comunitarie, i governi nazionali e la sfera locale ricoprirà un’importanza fondamentale.

La decisione politica

Rimangono molte questioni aperte e da definire, su cui la Commissione lavora da due  settimane, ma la prospettiva delineata dalla proposta spagnola ha generato ottimismo.

Il compromesso in sede di Consiglio Europeo non è stato raggiunto. Tra le posizioni dei paesi del Nord Europa, che non vogliono impegnare la propria credibilità finanziaria nel nome della solidarietà, e quelli del Sud Europa, che si sono ritrovati ad affrontare la crisi gravati da situazioni finanziarie difficili e necessitano di aiuti immediati, non si è sperimentato un avvicinamento.

Affidare il progetto e la possibile gestione di titoli comuni alla Commissione potrebbe diventare l’occasione di superare la situazione di stallo, contemperando la solidarietà e la responsabilità.

Alla solidarietà rappresentata dai contributi degli stati più virtuosi, corrisponde la responsabilità di spesa da parte dei paesi più deboli economicamente. In questo modo si può pensare di superare la ormai decennale diffidenza reciproca tra gli stati, che ha bloccato il processo dell’integrazione.

Se la proposta della Commissione non dovesse rivelarsi all’altezza delle aspettative, o se gli stati dovessero boicottare il progetto, le ripercussioni sulla coesione dell’Unione, già molto provata, potrebbero rivelarsi fatali. Se si abbandonasse l’idea di emissione di titoli comuni, il contraccolpo sulla visione che i cittadini hanno dell’azione dell’Unione, e dell’appartenenza alla comunità europea, potrebbe anche mettere la parola fine al proseguimento dell’integrazione

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